1 - L’EMBRIONE DELLA COPPIA SEPARATA «L’UOMO NON PUÒ REVOCARE IL CONSENSO»
Estratto dell’articolo di Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera”
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È una sentenza destinata a fare storia, non solo giurisprudenza. Tutela la donna […] E stabilisce che una volta creato l’embrione con la fecondazione assistita, se la madre lo desidera l’embrione deve essere impiantato, anche se il padre del futuro bambino è deciso a revocare il suo consenso. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale e Luca Antonini, il giudice che ha redatto la sentenza (la numero 161 del 2023), non ha negato di essersi trovato di fronte ad una «scelta tragica», ma poi non ha esitato ad assecondare la volontà della futura madre stabilendo che con la fecondazione assistita aveva certamente messo in gioco un suo «investimento fisico ed emotivo».
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La Corte ha così conferito legittimità all’articolo 6 (comma 3) della legge 40 del 2004, una norma che rende possibile, per effetto del congelamento degli embrioni, la richiesta dell’impianto non solo a distanza di tempo ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia. La storia che ha dato vita a questa sentenza della Consulta comincia come una delle tante storie di coppie che faticano a mettere al mondo figli.
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La legge 40 permette di usare il metodo della fecondazione assistita, per risolvere questo problema. Marito e moglie decidono quindi di rivolgersi ad una clinica specializzata.
Il progetto è di coppia […] tutti e due […] firmano i documenti che certificano il loro consenso alla fecondazione assistita e quindi all’impianto del futuro embrione. […]
Dopo, la fecondazione avviene con successo e gli embrioni vengono creati. Ma al momento dell’impianto la futura mamma ha qualche complicazione di salute. Si decide quindi di congelare gli embrioni […] Passa il tempo […] Il papà e la mamma di quegli embrioni congelati […] si separano. Ed è in questo momento che l’uomo, che a quel punto è diventato l’ex-marito, revoca il suo consenso. Non voleva più diventare padre.
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Si finisce in tribunale. Dal tribunale si arriva davanti alla Corte Costituzionale. È la prima volta che la Consulta si trova ad affrontare una vicenda come questa. […] Il giudice ammette: «È impossibile soddisfare tutti i confliggenti interessi coinvolti nella fattispecie».
Ma è la donna che alla fine viene tutelata, in maniera inequivocabile.
Scrive il giudice della Consulta: «L’accesso alla procreazione medicalmente assistita comporta per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenza e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni».
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[…] «Corpo e mente della donna sono inscindibilmente interessati nel processo di creazione dell’embrione che culmina nella concreta speranza di generare un figlio», scrive il giudice che rivolgendosi all’ex marito che non voleva più diventare padre usa ben altri toni. Davanti «alla tutela della salute fisica e psichica della madre, e anche la dignità dell’embrione» l’uomo non può agire a suo piacimento. […] «Non è irragionevole la compressione della libertà di autodeterminazione dell’uomo in ordine alla prospettiva di paternità».
LA FUTURA MADRE PUÒ CAMBIARE IDEA E SE SÌ, QUANDO CHI VIENE TUTELATO
Elena Tebano per il “Corriere della Sera”
1. Cosa dice la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita?
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«Prevede che prima di fare la pma uomo e donna firmino un consenso informato da cui dipende lo status di figlio del bambino che nascerà. Se un uomo consapevolmente ha deciso di intraprendere una procedura medica per avere un figlio non può più tirarsi indietro dalla responsabilità che ha assunto. Questa sentenza ribadisce che l’irrevicabilità del consenso è funzionale a “sottrarre il destino giuridico del figlio ai mutamenti di una volontà che (...) rileva ai fini del suo concepimento”. Ed è per questo che passano per legge 7 giorni tra la firma del consenso e la fecondazione: si dà al futuro padre il tempo di ripensarci» risponde la professoressa dell’Università di Perugia Stefania Stefanelli, docente di diritto privato e diritto di famiglia.
2. Vale la stessa cosa per la donna?
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«Di fatto no. L’uomo resta vincolato al consenso dato all’inizio, mentre la donna può sempre rifiutare l’impianto dell’embrione, in base agli stessi principi costituzionali che permettono di opporsi a qualsiasi terapia. E dopo l’impianto può interrompere la gravi-danza entro i limiti della legge sull’aborto».
3. Perché questa differenza?
«Per i ruoli diversi che hanno nella gravidanza, che incide in modo del tutto predominante sulla saluta fisica e psichica della donna. È lo stesso motivo per cui l’uomo non ha nessun diritto di scelta sulla decisione di interrompere o meno una gravidanza. Non è una questione di genere: in un Paese come il Belgio che regola la filiazione delle coppie lesbiche, le stesse differenze previste in Italia per gli uomini si applicano alla mamma che non porta avanti la gravidanza».
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4. Però in questo caso il consenso era stato dato sei anni fa e la coppia è separata da cinque...
«La legge 40 originariamente prevedeva il divieto di crioconservazione e l’impianto immediato di tre embrioni. La Corte costituzionale ha tolto queste limitazioni, che comportavano gravi rischi per la salute della donne, permettendo di conservare gli embrioni anche per anni. Ma questo non cambia la responsabilità dell’uomo, che oltretutto tocca diritti fondamentali della donna e la dignità dell’embrione».
5. Quali diritti sono in gioco?
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«Il consenso alla fecondazione dato dall’uomo incide sull’integrità psicofisica della donna, che secondo i giudici, deve essere “protetta dalle ripercussioni negative che su di lei produrrebbe l’interruzione del percorso intrapreso e giunto alla fecondazione”. La donna ha iniziato la pma perché c’era quel consenso e se l’uomo potesse revocarlo in ogni momento, lei non avrebbe la necessaria serenità e integrità psicofisica per andare avanti. Poi c’è la dignità dell’embrione. I giudici scrivono che l’irrevocabilità del consenso da parte dell’uomo protegge anche la dignità umana riconosciuta all’embrione in quanto “ha in sé il principio della vita”».
6. Che differenza c’è rispetto alla procreazione naturale?
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«Il padre genetico in una procreazione naturale non può sottrarsi alla responsabilità di essere padre: se anche non vuole riconoscere il nascituro una sentenza può dichiarare la paternità e costringerlo ai suoi doveri. Qui il principio è analogo, ma mentre nella procreazione naturale è la discendenza genetica a fondare la paternità, nella pma è il consenso a fondare la paternità. E quel consenso vale anche a distanza di tempo».