ALDO CAZZULLO per il Corriere della Sera
Sonia Bergamasco, lei diventerà Margherita Sarfatti per RaiStoria.
sonia bergamasco
«Era una formula rischiosa. Non una fiction; un'intervista, in cui pronuncio le parole precise della Sarfatti. Il rischio "cartolina" era dietro l'angolo. Non ho cercato di trasformarmi, alla ricerca di una somiglianza fisica impossibile. Mi sono documentata, ho letto molto. Ho scoperto una figura tragica ed emblematica».
Lei è una donna di sinistra. Non la imbarazza impersonare l'amante del Duce?
«Margherita Sarfatti merita di essere tolta dal letto di Mussolini e restituita a se stessa. È una donna travolta dalla storia, e da quello che non ha saputo vedere, se non troppo tardi».
La Sarfatti «inventò» Mussolini.
sonia bergamasco
«Ed ebbe un ruolo fondamentale non solo nel creare l'estetica del regime, ma nel percorso che portò alla nascita del fascismo e al colpo di Stato. Inseguì una sua idea di potere e di un'Italia nuova. C'è in lei, accanto a una grande intelligenza e acutezza, qualcosa di opaco, di torbido.
Lei vide la violenza delle squadre fasciste. Lei vide morire Matteotti. E alla fine fu vittima dell'uomo e della dittatura che aveva contribuito a costruire. La sua figura venne prima oscurata, poi cancellata, quindi perseguitata. Sua sorella morì nei lager. Lei dovette lasciare il suo Paese e fuggire in Sud America. Espulsa prima culturalmente, poi fisicamente».
Che donna era?
«Colta, profonda. E segnata dal dramma: fin da quando perde il figlio, Roberto, che parte volontario per la Grande Guerra a diciassette anni, infuocato dai discorsi che ha ascoltato in casa, e cade al primo assalto.
sonia bergamasco foto di bacco
Per questo credo che alla fine, dopo le leggi razziali, l'esilio, la catastrofe della seconda guerra mondiale, Margherita provasse un rimorso profondo per come erano andate le cose. È una figura estremamente complessa. Ma andava affrontata. Tanto più in un progetto dedicato alle donne e inventato da una produttrice donna, Gloria Giorgianni».
Com' è invece la sua storia? Lei è milanese.
«Sono cresciuta al QT8: Quartiere Triennale ottava. Un esperimento, all'ombra della montagnetta di San Siro: una zona oggi molto bella, all'epoca meno. A diciotto anni sono andata a vivere per conto mio, sui Navigli».
Era la Milano da bere.
sonia bergamasco
«Un periodo grigio, opprimente, faticoso. Ricordo con orrore i paninari, con la faccia arancione per le lampade, vestiti tutti uguali». Lei suonava il pianoforte. «Lasciai il Beccaria per fare il liceo interno al conservatorio. Lì incontrai il mio primo maestro: Quirino Principe, germanista e musicologo, che aveva tradotto Il Signore degli Anelli ».
Il teatro per lei comincia con Strehler.
«Non avevo nessuna esperienza. Feci tre provini, pescando dalle mie letture: Cassandra di Christa Wolf, Guido Cavalcanti e il monologo di Winnie da Giorni felici di Beckett. L'ultimo provino l'ho rivisto di recente: inguardabile, ho chiesto di non mostrarlo mai a nessuno... C'era anche lui, Strehler».
Grande seduttore.
«Grande vecchio, personaggio leggendario per la città, con quella bellissima testa bianca. La musica è stata la mia chiave d'accesso, il mio modo storto di entrare in relazione con il teatro: in maniera musicale, solfeggiata».
Poi l'incontro con Carmelo Bene.
«Un altro grande. Esagerato in tutto. Non era vecchio ma era già malato. Ne ho un ricordo bellissimo. Un anno e mezzo di studio, e poi da sola con lui sul palcoscenico per il suo Pinocchio . Finì con una grande litigata».
Cioè?
«Stavamo preparando La figlia di Iorio , quando scattò la sua fase distruttiva. Non gli andava bene nulla. Gli dissi che era lui ad avermi scelta, e sarei potuta andarmene. Me ne andai. Forse fu giusto così».
fabrizio uni sonia bergamasco foto di bacco
Lei ha lavorato con Bertolucci e Castri, ma pure con Checco Zalone: era la sua persecutrice in Quo Vado. Com' è stato?
«Molto impegnativo. Come i veri comici, Checco prima scrive, poi improvvisa. Una grandissima scuola».
Lei è anche la fidanzata di Montalbano...
«Sono entrata rischiosamente in un racconto già iniziato: il pubblico si era affezionato alle due Livia precedenti. Mi hanno aiutato Luca Zingaretti e un gruppo di lavoro formidabile»
E la moglie di Antonio Albanese in Come un gatto in tangenziale.
«Ora stiamo girando il seguito: Ritorno a Coccia di morto . Antonio è un autore. Lo ricordo ragazzo leggere le poesie di Caproni. Fiero delle sue radici siciliane, che fanno di lui un lombardo doc; i lombardi purosangue non esistono, anch' io ho una mamma napoletana».
sonia bergamasco
Lei è stata anche la mamma di Massimo Ranieri, che è molto più anziano di lei, nel film di Roberta Torre ispirato a Riccardo III.
«Facevo la regina madre. Quattro ore e mezzo di trucco prostetico per invecchiarmi».
Ed è la terrorista ne La Meglio Gioventù di Marco Tullio Giordana.
«Giulia me la porto dentro. È un film che ci ha segnati e uniti per sempre: Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Maya Sansa, Jasmine Trinca, Claudio Gioè, Valentina Carnelutti, Adriana Asti. Ovviamente, Fabrizio».
sonia bergamasco
Con Fabrizio Gifuni siete sposati da oltre vent' anni. Per un'attrice e un attore, quasi un miracolo.
«Non ho ricette da suggerire. Ci siamo conosciuti lavorando, nel 1995: la Trilogia della Villeggiatura di Goldoni».
Per quale partito vota?
«Posso dirle che ho votato No al referendum... è un periodo confuso, ma so bene da quale parte stare. Guardo con speranza a giovani come Elly Schlein».
Lei ha portato a teatro i testi meno noti di Primo Levi.
«I racconti fantastici e fantascientifici, in cui Levi si diverte e diverte moltissimo».
In un'intervista al «Corriere», Liliana Segre ha rivelato una lettera molto dura che Levi le scrisse, prima di gettarsi nel vuoto. Ma Rita Levi Montalcini non credeva al suicidio.
«Non ne ho mai voluto parlare, neanche con suo figlio Renzo. Sarebbe come violare una zona di pudore, che appartiene esclusivamente alla persona».
A quale attrice si sente legata?
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«A Franca Valeri. Tutte noi siamo in debito con lei. Donna di cultura e anche di musica, ha fatto importanti regie d'opera. Una volta Gabriele Ferzetti disse - e Mariarosa Mancuso scrisse sul Foglio - che la ricordavo. Fu il più bel complimento che abbia mai ricevuto».
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