Walter Veltroni per il Corriere della Sera - Estratti
GRAVINA SPALLETTI BUFFON
Luciano Spalletti mi riceve nella sua casa di Montaione, vicino a Certaldo, in Toscana. È una grande tenuta, piena di verde, in cui Spalletti sembra sentirsi felice, disteso. Grandi spazi che si offrono dalle vetrate delle stanze, unità immobiliari destinate ad agriturismo, piscina e campi da padel e da tennis. Ci sono specie animali di ogni tipo: struzzi, alpaca, fagiani, germani, anatre, mucche, cavalli, asini, pavoni...
E delle meravigliose vigne che producono dei vini che si chiamano «Contrasto», «Bordo campo», «Rosso diretto», «Tra le linee».
(...) Nella stanza dove siamo mi mostra tutti i quaderni nei quali ha appuntato idee e ricordi. Ne farà un libro, ha detto, per il quale ha un titolo che vale come senso della sua esperienza umana: «Il Paradiso esiste, ma quanta fatica...».
luciano spalletti 2
Se sulla strada per questo Paradiso incontrassi Luciano bambino, che consiglio gli daresti?
«Gli direi di prepararsi a un mondo in cui niente è mai scontato e tutto è possibile. (...)
Tuo fratello Marcello è stato importante per te.
«È stato tutto. E di più. Lui giocava al calcio, aveva visto che ero bravino ed era orgoglioso di me. Mi proteggeva e, insieme, mi spingeva sempre a migliorare. Se ne è andato anni fa, per un tumore. Ho sofferto molto».
La tua prima maglietta da calciatore?
SPALLETTI SCUDETTO NAPOLI
«Io cominciai con le giovanili dell’Avane dove si perdeva sempre, poi proseguii con quelle della Fiorentina, dove si vinceva sempre. E, sinceramente, penso di avere imparato più dalla prima esperienza che dalla seconda. Essere sconfitti è importante, educa, insegna a migliorarsi, educa a vincere. Quella casacca giallonera mi è rimasta nel cuore».
Tu non eri considerato un personaggio facile. Ora, dopo la vittoria con il Napoli e la scelta della nazionale sei amato da tutti.
«Mah, io non sono uno di quegli allenatori che passano il tempo al telefono con i giornalisti e forse questo in passato mi ha alienato qualche consenso. Io faccio il mio lavoro e cerco risultati. Rispetto tutti e il lavoro di tutti. Però voglio che a parlare, per me, siano i risultati, non i sorrisi».
Parlami del tuo rapporto con Napoli.
spalletti zaniolo
«A Napoli ho lasciato il cuore. Non è immaginabile l’affetto, anzi l’amore che mi sono scambiato con quella città. Mi ha regalato, per la prima volta nella mia storia di allenatore, l’emozione unica di sentirmi parte di una comunità. A Napoli sono stato felice perché ho toccato con mano la felicità dei napoletani e dei miei calciatori. Ho ricevuto sensazioni indescrivibili.
Una delle cose più belle che potessero capitarmi nella vita. È stata la mia università di vita, penso sia difficile avere più di quello che ho avuto io e nessuna impresa può meritare quello che i napoletani hanno dato a me. Sono orgoglioso, fiero, di diventare giovedì un loro cittadino onorario. Erano più di trent’anni che il Napoli ed io pensavamo di andare nello stesso luogo, di fare lo stesso viaggio. Incontrarci, esiste un’arte dell’incontro, ci ha fatto arrivare, ambedue, il più lontano possibile. Noi veniamo al mondo con una sola ala, non possiamo volare in alto se non cerchiamo chi ci completa. Napoli è stata la mia seconda ala. Per questo la ringrazierò sempre».
luciano spalletti
Credo tu metta lo stesso amore per la nazionale, ora.
«Vorrei tornasse la nazionale di tutti e che tutti gli italiani le volessero bene. Per me la maglia della nazionale è quanto di più alto ci possa essere in uno sport ma allo stesso tempo anche quella che più resta vicina al calcio di strada. Quando da bambini dovevamo giocare contro quelli del giardinetto accanto, speravamo con tutto noi stessi di venire “selezionati” e poter far parte di quelli che vincendo sarebbero diventati gli eroi del quartiere. La proposta di Gravina mi ha reso un uomo felice e orgoglioso anche se ho sentito il peso enorme della responsabilità trattandosi della maglia azzurra di tutti gli italiani. Le mie scelte saranno tecniche e anche morali. Vorrò intorno a me ragazzi che ci credono, che vivano con me il morso della responsabilità, ragazzi che conoscano a memoria la storia di questa nazionale dimostrandomi di voler entrare in quella storia, di volerci provare fino in fondo.
Sarò sempre assillato dal bene della nostra Nazionale e, chi vorrà dimostrarmi di voler mettere il proprio talento al servizio della Nazionale, saprà che io sarò ai suoi piedi. Noi dobbiamo restituire all’Italia il bene che ci vuole. Far gioire un paese intero, che si unisce e dimentica le appartenenze che separano. La maglia azzurra va desiderata prima e onorata poi come un oggetto sacro».
spalletti
Ti sembra che tutti i tuoi ragazzi abbiano compreso questo messaggio?
«In generale sì, ma sento che dobbiamo lavorarci ancora, bisogna che in ciascuno di loro, nei loro pensieri, si creino le abitudini corrette, il senso di responsabilità e la motivazione che ci consentano di essere una nazionale forte, davvero forte. Io sono contento della qualificazione. Non solo per il risultato, il contrario avrebbe provocato dolore in tutti, ma per il modo in cui abbiamo giocato in tutte le partite. Tutte, ma non tutto il tempo. Perché abbiamo giocato bene per quarantacinque, sessanta o settanta minuti, mai una partita intera. Siamo però sulla strada giusta, in breve tempo».
Come ti sei trovato tra i velluti della cerimonia del sorteggio? E che giudizio dai?
(...) L’unico modo per passare il girone sarà quello di fare subito tutte partite ad altissimo livello. Comunque anche Spagna, Albania e Croazia non saranno felicissime, visto che hanno beccato l’Italia tra le squadre in quarta fascia. Dipende solo da noi, siamo l’Italia. Vale quello che dissi ai miei azzurri prima di una partita difficile: “Ci sono molte cose che da fuori mi spaventavano e ora, dopo averle affrontate, mi entusiasmano”».
spalletti italia macedonia del nord
Che obiettivo ti proponi per gli europei?
«Non mi pongo limiti, dipende solo da quanto riusciremo a migliorare, in primo luogo dentro di noi. Ci sono tanti giocatori giovani che possono crescere, come Scalvini, Udogie, Scamacca e davanti abbiamo, con Retegui, Raspadori, Kean, Immobile molto più di quanto si pensi. Raspadori, ad esempio, è un ragazzo fantastico: non rinuncia a impegnarsi né in allenamento né nel preparare uno dei suoi esami universitari. Fammi dire anche che Chiesa è uno di quei giocatori che appartengono alla rara bellezza del calcio degli illusionisti. Calciatori come lui fanno la fortuna degli allenatori, ti regalano soluzioni che non esistono in nessuna mia lavagna. Le qualità dei giocatori di talento sono superiori alle indicazioni che un tecnico può dare».
spalletti nazionale
(...)
Ecco: non ti pare che il talento sia un po’ mortificato, fin dalle scuole calcio, nel calcio moderno?
«Non c’è tecnica senza tattica, e viceversa. Troppo spesso indicazioni rigide, nel tempo della formazione dei calciatori, tolgono il gusto di inventare, di cercare soluzioni che non siano quelle prefissate. Nei settori giovanili si tende a premiare la fisicità precoce senza calcolare che il talento può essere nascosto anche nell’incompletezza fisica, e che lì bisogna cercarlo. Li facciano giocare con la palla, non c’è bisogno che gli allenatori dei settori giovanili facciano il copia e incolla degli schemi miei o di altri. Bisogna fare attenzione a non appiattire i livelli, a non mortificare talenti e creatività. E se un ragazzo mostra estro ma ha delle pause, lo si aspetti. Lo si formi, non lo si rifiuti. Il ruolo degli istruttori è fondamentale e deve essere esaltato».
Bearzot attingeva a squadre con nove undicesimi italiani, ora è difficile trovarne uno in molte formazioni...
italia malta spalletti
«È vero, ma Bearzot poteva scegliere solo in una serie A allora ricchissima. Io posso selezionare giocatori italiani in ogni parte del mondo, ma la cosa che mi preoccupa di più è proprio che ci sono pochi italiani titolari, ovunque. E comunque io non cerco scusanti, non alleno i miei alibi. Quello che non va bene, secondo me, è che i talenti italiani che emergono nel campionato primavera vengano poi mandati a farsi le ossa nelle serie inferiori o si siedano in panchina. Io esorterei le società a inviarli a sperimentare le prime divisioni straniere e ad abituarsi alle pressioni, al bisogno di risultati. Il mondo cambia e la nostalgia non aiuta. Il calcio è stato investito dalla globalizzazione e bisogna massimizzarne gli effetti positivi».
Tu vedi anche la necessità di una educazione morale, etica, dei giovani calciatori? Troppi episodi, a cominciare dalle scommesse, sembrano dire di sì.
LUCIANO SPALLETTI
«La storia delle scommesse è profonda. Basti leggere quello che ha detto Cairo l’altro giorno. Le pubblicità che vengono proposte tre o quattro volte a partita. Le società di scommesse come sponsor. Ci si indigna, ma si pubblicizza una cosa che ha ragione di esistere solo economicamente e in nessun modo eticamente... Purtroppo le scommesse non sono solo una piaga nel mondo del calcio, ma spesso lo sono sul piano sociale, esistono famiglie rovinate da una “malattia”, una dipendenza, che purtroppo all’economia fa comodo tenere in piedi.
maradona allenamento nel fango a soccavo
È un po’ come il discorso delle sigarette, e lo Stato che le rende legali. Vedere ragazzi che non hanno talento o fortuna è triste ma c’è qualcosa di più amaro e di più insopportabile del non avere talento o fortuna: è avere l’uno e l’altro ma non saperli riconoscere e apprezzare. Questo per me fa la differenza tra un uomo vero e un uomo apparente. Dico sempre ai miei giocatori di pensare che sugli spalti c’è gente che si è fatta un mazzo così tutta la vita, che ha faticato, in ogni campo, per migliorarsi e che si aspetta lo stesso da persone che paga per vederle in uno stadio, alle quali consegna cuore ed emozioni, e dalle quali si aspetta impegno. Perché tutti vogliono bene a Sinner? Perché in quel ragazzo, nel suo gioco e nei suoi risultati, si vede il segno della fatica, delle ore spese per migliorarsi».
Come sono cambiati, nel tempo, i calciatori?
maradona allenamento nel fango a soccavo
«Da quando ho iniziato i calciatori sono sicuramente cambiati, soprattutto perché stanno diventando sempre più atleti a tutto tondo. Allo stesso tempo c’è da dire che sono cambiati anche gli allenatori, i dirigenti, i presidenti e le tipologie di proprietà. Purtroppo quello che non sta cambiando in Italia è la mentalità, specialmente per quel che riguarda la cultura della sconfitta. Continuiamo a ragionare e far polemiche come se tutti possano/debbano sempre vincere. Quella del massacro a chi perde è una usanza che si è addirittura allargata ai campionati giovanili andando ad incidere negativamente sul percorso di molti talenti».
maradona allenamento nel fango a soccavo
Le cuffiette e i cellulari non destrutturano il senso di appartenenza a una comunità sportiva, a una squadra?
«I giovani calciatori sembrano avere meno fame, hanno troppe sicurezze. La loro formazione avviene su campi perfetti, con l’erba sintetica e le docce calde. Maradona, i filmati ce lo raccontano, si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini. C’era sofferenza, fatica, una innata cultura della sfida e del miglioramento. I panni, dopo l’allenamento, vanno lavati, devono essere ben sporchi. I ragazzi oggi mettono il loro musino in ogni banalità.
Si aspettano che tutto sia dovuto, sembrano avere poca voglia di sacrifici. I ragazzi da un po’ di tempo sono “Tutto e subito, altrimenti non è colpa mia”. Non ho timore a dire che in ogni campo e in ogni momento della formazione — un genitore, un insegnante, un allenatore — c’è bisogno di qualcuno che li aiuti a distinguere tra mondo reale e mondo virtuale, che gli faccia respirare la carnalità, la corporeità delle paure, degli incontri, delle possibilità. È questo il modo di proteggerli e di spronarli. Hanno bisogno di dolce autorevolezza. La prima volta che sono entrato nello spogliatoio della nazionale li ho fatti alzare in piedi e insieme abbiamo cantato l’inno d’Italia e ora abbiamo anche definito un grido di incitamento e motivazione che ci serve per sentirci uniti, vicini».
jannik sinner foto rosito gmt 29
Il calcio è davvero un «gioco semplice»?
«Il calcio semplice è per chi si accontenta degli standard, è per chi pensa che il campo sia 105 metri per 68. Il calcio diventa più complesso, ed estremamente più affascinante, per chi pensa invece che il campo sia 7.140 metri quadri. Solo così si capisce la vastità delle possibilità delle sfide e delle variabili coinvolte in una partita di calcio. Nel calcio c’è chi può farlo diventare semplice e chi invece no. Ma nel momento in cui i grandi talenti lo fanno sembrare semplice significa, in realtà, che lo stanno facendo evolvere ad un livello ancora più alto.
LUCIANO SPALLETTI FRANCESCO TOTTI
Queste innovazioni trainano quelli che guardano il calcio a doversi adeguare a quel livello. Contano i calciatori, ma va creata una squadra, sempre. Lo sguardo è di solito rivolto al portatore di palla. Ma gli altri dieci? Come si muovono, come si rendono disponibili all’azione? Cosa fanno, dove vanno? Lì si vede la mano dell’allenatore. Se fosse così semplice, come si dice, perché le società dovrebbero pagare milioni ai tecnici? Il calcio è un misto di improvvisazione geniale in un sistema organizzato. Un’idea di gioco e di squadra che, nella sua struttura, faciliti ed esalti il talento individuale».
Che segno ti hanno lasciato i fischi dell’Olimpico il giorno dell’addio di Totti? Su questo giornale Francesco ha dichiarato affetto e stima per te e la volontà di chiudere quella parentesi che vi aveva separato.
«Quei fischi mi dispiacquero molto. Io sempre cercato di fare il bene della Roma, con la quale abbiamo fatto un bel gioco e ottenuto bei risultati. E ho cercato anche di fare il bene di Totti, che è stato uno dei più grandi giocatori del nostro calcio. Per me, riabbracciarlo è stato come una liberazione».
LUCIANO SPALLETTI FRANCESCO TOTTI LUCIANO SPALLETTI FRANCESCO TOTTI