DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Enrico Sisti per “la Repubblica”
Giochiamola prima. Le due semifinali potrebbero essere Gabon-Ghana e Algeria-Costa d’Avorio. A naso, la finale più probabile Gabon-Algeria. E adesso torniamo indietro. La prima sensazione è che la Coppa d’Africa si giochi continuamente, che non ci siano soste. Dipende dalla sua posizione nel calendario, scomoda da morire, che non piace a nessuno, forse nemmeno a chi va a giocarla.
A fine anno le squadre europee (perché questo è il nostro osservatorio e da qui si muovono gambe e finanze del pallone) si spolpano, il viso di alcuni allenatori (Ranieri per esempio) diventa così cupo che verrebbe da pensare che il suo proprietario non ha mai sorriso in vita sua: al Leicester verranno a mancare Mahrez e Slimani. Sono le punte di diamante della promettente Algeria che annovera anche Feghouli, Brahimi, Ghoulam, Taider, Mesbah. Gli “africani” inglesi hanno giocato fino a Capodanno.
Dagli altri paesi i giocatori si sono staccati prima. E veniamo agli africani d’Italia: salteranno da quattro a sei partite (o sette per le squadre che hanno in programma anche dei recuperi). Gli “italiani” sono 14. La Coppa d’Africa comincerà il 14 gennaio e si concluderà il 5 febbraio. Sono appena 16 squadre (divise in 4 gironi), il che potrebbe apparire anacronistico, visto che altrove si punta in gran segreto ad allargare i Mondiali a 48 squadre. Si giocherà in Gabon.
I paesi africani in grado di ospitare la manifestazione stanno diminuendo. Il Gabon e la Guinea Equatoriale si erano divisi l’organizzazione dell’edizione del 2012, la Guinea aveva organizzato da sola quella del 2015. Ora va il Gabon per conto suo. Problemi di stabilità, sicurezza ed emergenze sanitarie hanno fatto spostare sedi come se fosse il gioco delle tre carte. Dovettero rinunciare Libia e Marocco. Anche il Sudafrica vacillò. La Coppa d’Africa non è più il mercatino che era.
Degli anni delle sorprese rimane solo l’eccesso di folklore tecnico. Magari si scova ancora il talentino. Ma ormai tutti sanno che il talentino è più facile che venga fuori, a 14 anni e già naturalizzato, da un’academy inglese o tedesca. Malgrado la massiccia presenza di ct stranieri (nel 2017 solo quattro paesi si affidano a ct autoctoni, Guinea-Bissau, Senegal, Zimbabwe e RD-Congo, altrove tanti francesi, Cuper per l’Egitto, Grant per il Ghana e Camacho per il Gabon), le nazionali africane non si sono mai emancipate come gruppi.
Solo l’Egitto, per un certo periodo, imitò la compattezza delle europee. La bancarella Africa offre talenti già affermati e tattica deficitaria. Stupirsi sarà sempre più difficile. I detentori della Costa d’Avorio, finita l’era Toure e con Gervinho infortunato, sono in pieno restauro. Stelle annunciate del torneo: l’algerino Mahrez, da poco eletto miglior calciatore africano del 2016 e a ragione considerato uno degli artefici del trionfo del Leicester, Aubameyang che forse darà una mano al Gabon così come la sta dando (concretissima) al Dortmund, Kessie e Salah.
L’atalantino ha il compito di guidare il nuovo corso degli ivoriani, accanto a lui, Bony, Gradel, Die e anche Kalou. Salah pare abbia qualche attrito con il ct Cuper. L’Egitto è la nazionale che ha vinto di più: 7 edizioni di cui tre consecutive (‘06-‘08-‘10). Da quando è business la Coppa d’Africa ricorda un fuoco d’artificio che promette effetti di luce che non può produrre.
Forse, nella sua desolazione, era più bella la Coppa dei poveri di 60 anni fa di cui parlavano solo i giornali francesi, fatta di sei squadre e di pittoreschi calciatori che nessuno ricorda più. Come il dribblomane ghanese Osei Kofi o il capitano dell’Etiopia, un bel centravanti che chiamavano “faccetto nero” perché il suo nome era Italo Vassalo ed era mezzo italiano. Ora Italo ha 77 anni e un ristorante ad Asmara.
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