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Gaia Piccardi per il "Corriere della Sera"
mcenroe con la racchetta spaccata
La montante nouvelle vague nostrana a Melbourne, Matteo Berrettini e Jannik Sinner due azzurri nei quarti di finale di uno Slam per la prima volta dal '73 (Panatta e Bertolucci al Roland Garros), lo motiva tanto quanto quel celebre match di primo turno contro Tom Gullikson sul vecchio campo numero uno di Wimbledon durante il quale pronunciò la frase più iconica del repertorio: «You cannot be serious!». Correva il 22 giugno 1981. «È incredibile che un commento fatto 41 anni fa e mai più ripetuto mi sia rimasto appiccicato addosso per tutta la vita...».
All'alba dei 63 anni (li compirà il 16 febbraio, acquario nonostante il fuoco che lo incendiava), lontano oltre sette lustri dall'ultimo dei suoi 7 titoli Major (Us Open '84), John McEnroe, talent Eurosport, è come te lo ricordi, solo canuto. Acuto come gli angoli delle sue volée, divertente come il suo tennis, esagerato come quella volta che suggerì un uso improprio della racchetta a una socia dell'All England Club che non si sbrigava a lasciargli il campo: «Che generazione ha l'Italia! Berrettini ormai è un solido top 10, ma il vero prospetto è Sinner: io lo pronostico plurivincitore Slam! E non mi sbaglio».
John, all'Australian Open non si parla d'altro che del suo imminente ingresso accanto a coach Riccardo Piatti nel team Sinner.
«Non sto trattenendo il respiro, ma aspetto che Riccardo mi chiami per definire! Con Jannik sta facendo un gran lavoro, però non glielo riferisca sennò il mio amico si monta la testa... A New York a fine agosto, in una giornata di pioggia prima dell'Us Open, Jannik è venuto ad allenarsi al mio club. Lì ho parlato con Riccardo, ribadisco la mia disponibilità part time a consigliare il ragazzo, che è una spugna: impara qualcosa da ogni palla, assorbe tutto, è un lavoratore straordinario. E poi ho visto il rispetto nel suo sguardo: non che io sia una leggenda, ma mi guardava con certi occhi...».
La partnership con Piatti non sarebbe una primizia: nel 2016, quando era allenato da Riccardo, anche grazie ai suoi consigli il canadese Milos Raonic raggiunse la finale di Wimbledon.
«Anche quello fu un lavoro part time: a tempo pieno non ci sono per nessuno! Affiancare Jannik sarebbe interessante anche per me». Cosa la colpisce di Sinner? «Insieme a Kyrgios, il talento migliore dell'ultimo decennio. Sa fare tutto, è sottile ma si sta irrobustendo. Avevo una piccola perplessità sul carattere: all'inizio lo vedevo trattenuto, come se tenesse le emozioni imbottigliate. Ma sta imparando a liberare, e usare a suo vantaggio, anche quelle».
Lo vorrebbe più cattivo? Com' era lei in campo?
«Oh sì, a Jannik insegnerei ad essere un bad boy come me! Lo vorrei vedere più espansivo, rumoroso, rock, esattamente come sono i tifosi italiani: nella mia carriera non ho mai giocato in un posto più chiassoso del Foro Italico! Chi è emotivo e non ha vergogna di mostrarlo, mi piace. Adoro Medvedev che litiga con il pubblico, Zverev quando perde il controllo, Jannik quando urla al cielo, come alla fine del match con De Minaur, vinto anche contro il tifo. Jannik ha una marcia in più perché è disposto a tutto per migliorare. Rispetto a soli sei mesi fa, infatti, è un altro giocatore».
E Berettini, numero 6 del ranking da lunedì, non ha la sensazione che sia ancora sottovalutato?
«Fisicamente impressionante, dritto mostruoso, servizio da paura. Matteo è un'ottima notizia per il tennis: un bravo ragazzo e un campione pieno di valori, vorrei somigliargli tanto è figo! La presenza che ha sul campo Berrettini, con quell'altezza e quelle spalle, nel tennis moderno ce l'hanno in pochi. La mia sensazione è che stia tirando fuori tutto dal suo tennis, non è agile come altri top players però mi ha davvero stupito il carattere con cui ha respinto l'assalto di Alcaraz, che ha sette anni meno di lui. Con Monfils nei quarti lo vedo favorito: si merita la semifinale dell'Australian Open come Sinner, che deve battere Tsitsipas».
Berrettini e Sinner arrivano con perfetto tempismo: il tennis mondiale è entrato in un processo di ricambio.
«Il risultato degli Slam non è mai stato così aperto: vedremo molti vincitori nuovi nei prossimi anni. Nadal che a 35 anni gioca ogni punto come fosse l'ultimo ha tutta la mia stima, nel serbatoio di Roger Federer, 40 anni, non ho idea di cosa sia rimasto e Djokovic chissà quando e come tornerà dopo la disavventura con la dogana di Melbourne».
Lei l'ha difeso.
«Se le autorità australiane avevano deciso che fosse obbligatorio il vaccino per entrare nel Paese, non dovevano esistere zone grigie in cui infilarsi. Djokovic sul vaccino ha convinzioni molto forti e io non sono nessuno per contestarle. Certo pretendere di giocare a tennis così, in un mondo pandemico, non gli facilita la vita».
Tornerà più forte di prima?
«Conosciamo la sua capacità di resilienza, sotto pressione è di gran lunga il migliore. Non mi stupirei».
Anche lei, John, nel gennaio 1990 fu squalificato a Melbourne.
«Tutt' altra circostanza. Fa un caldo bestiale, affronto lo svedese Pernfors negli ottavi. Sono un po' nervoso e l'arbitro, Gerry Armstrong, mi dà prima un warning e poi un penalty point. Non ci sto, chiamo il giudice arbitro, faccio un po' di casino e mi sfugge una parola di troppo... Peccato che il mio amico Sergio Palmieri, manager all'epoca, non mi avesse avvertito che in Australia, da quell'anno, dopo il penalty point alla terza violazione c'era direttamente la squalifica. Colpa sua!».
Ci aiuti a dirimere l'annosa questione, McEnroe: chi è il più grande di ogni tempo?
«Io la faccio fuori così: Nadal è il migliore sulla terra, Djokovic sul veloce, Federer sull'erba e, in assoluto, per lo stile. Io idolatravo Rod Laver, ma Roger nei suoi giorni migliori era di una bellezza unica e ineguagliabile».
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