“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Achille Bonito Oliva per la Repubblica
Che tempi sono questi, se Ralph Rugoff ha intitolato la mostra centrale May You Live In Interesting Times?, letteralmente, in italiano, "Che tu possa vivere in tempi interessanti"? Interessante la scrittura espositiva volutamente strabica: tutti gli artisti espongono in entrambe le sedi, Giardini e Arsenale, con diverse produzioni.
Fortunatamente non è una mostra di denuncia, giocata su artisti come semplici portavoce di malcontento, emarginazione e allarme sociale. Come se ci fosse una identità liquida degli autori, contemporaneamente presenti in due location differenti, che sembrano assumere per espansione il trend telematico dei social media. Come un blob che si espande liberamente e forse perseguita gli spettatori nella loro faticosa deambulazione tra i diversi spazi della Biennale. È chiaro che non è un match tra bugia e verità, ma la dimostrazione che l' arte è indecisa a tutto. Questo permette agli artisti volubilità e nomadismo espositivo.
D' altronde l' arte è frutto dell' immaginario individuale, compulsivo e in continua espansione. Un' allegra domanda: cosa differenzia allora l' arte dalla vita? La risposta è consegnata nelle mani e nella mente degli spettatori a cui il titolo beneaugurale della mostra augura un felice viaggio.
Nessuna obiezione alla presenza di soli due artisti italiani: Lara Favaretto e Ludovica Carbotta.
Peraltro compensata da un buon Padiglione del nostro Paese, con tre artisti validi. Si conferma un beneaugurale sopravanzamento della presenza femminile rispetto a quella maschile in questa Biennale e nello stesso tempo tutti gli artisti sembrano rispondere all' iniziale proverbio cinese per sviluppare, attraverso la forma, il valore della responsabilità individuale rispetto alla tanto spesso cinica facilità di diffusione dell' immagine telematica.
Insomma prevale l' idea che l' arte è una fake news a fin di bene, diffusa anche nei novanta Padiglioni Nazionali. Come per esempio in Assembly di Angelica Mesiti nell' australiano, in Mondo Cane di Jos de Gruyter & Harald Thys nel belga, in Field Hospital X ( FHX) di Aya Ben Ron nell' israeliano e Untitled di Martin Puryear nello statunitense. Per allegro finale Viagra di Renate Bertlmann nell' austriaco, priapico invito all' accudimento del corpo e del piacere della vita, in ogni suo aspetto. Insomma l' arte non progetta solo il passato ma si difende anche dal nostro presente.
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