DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
Paola Zanuttini per “il Venerdì - la Repubblica”
Adesso non cominciate con quelle speculazioni psicoanalitiche che vengono tanto bene se uno come Marco Bellocchio si mette a indagare sul tradimento con la sua ultima regia: Il traditore, appunto. Certo, stimola il gioco delle libere associazioni il fatto che abbia girato un film, e per di più l' unico italiano in concorso a Cannes, su Tommaso Buscetta, il primo grande mafioso collaboratore di giustizia. Dunque, Buscetta è uscito da Cosa Nostra e Bellocchio è uscito dall' analisi collettiva dei fagioliniani: organizzazione, segregazione, ribellione, separazione, defezione, liberazione, delazione, negazione... Un irresistibile intreccio, pieno di assonanze.
Macché: «Io a Buscetta non ci pensavo per niente, è un cognome che mi ha fatto Beppe Caschetto, forse lui ci s'identifica di più, non perché non sia una brava persona». Caschetto, il potentissimo e riservatissimo agente e produttore che già gli aveva proposto l'idea di fare un film da Fai bei sogni, il best seller di Massimo Gramellini.
«Ecco, quello era un racconto in cui la mia autobiografia si poteva intrecciare di più, anche se con una sensibilità diversa da quella di Gramellini, ma qui c' è una vicenda grandiosa e tragica in cui le mie, di vicende, c'entrano poco. Ho replicato che di Buscetta non sapevo quasi nulla, ma potevo studiare il personaggio, imparare e capire e, pur rispettando una storia che non è mia, personalizzare». C'è voluto del tempo: l'annuncio è stato dato a Cannes alla presentazione di Fai bei sogni. Tre anni fa.
il traditore favino e bellocchio
Bellocchio dice che per approfondire ha bisogno di calma: andare, tornare, leggere, chiedere. «Devo conoscere dai testimoni diretti i particolari, anche quelli minimi. E a Palermo ognuno sa qualcosa e te la racconta». Qualcuno gli ha spifferato che al funerale di Stefano Bontate la vedova del boss assassinato diede un morso all' orecchio di Ninetta, la moglie di Totò Riina, mandante dell' omicidio, che le rendeva omaggio.
Non è una verità storicamente appurata, ma al cinema rende bene. Gianni De Gennaro, che era in aereo con Buscetta estradato dal Brasile, ha riferito invece che non gli mise le manette prima di scendere la scaletta e consegnarsi alle autorità italiane. E per non svelare questo fair play gli fece coprire i polsi con un plaid da passeggero freddoloso. L'avvocato Li Gotti, difensore di Buscetta e di molti altri pentiti, ha raccontato che dopo un confronto in aula con Pippo Calò, don Masino scivolò su una frase che aveva cesellato e provato e riprovato per delegittimare Calò e fare bella figura con i giudici: «Pensavo di ascoltare il rùggito del leone invece ho sentito lo squittio di un topo».
Sarà stata l'emozione, ma l'accento cadde sulla u invece che sulla i. La pronuncia così anche Pierfrancesco Favino, un credibile Buscetta dal forte intercalare siciliano. Studiato con metodo dall'unico continentale nel cast tutto isolano del Maxiprocesso. «All'inizio ero un po' diffidente verso Favino, che invece è stato molto generoso e si è sottoposto a due provini. Temevo non arrivasse più in là dell'imitazione del personaggio, invece è andato oltre. De Niro, che è stato anche regista di un paio di film, ha detto una volta che se azzecchi l' attore hai risolto il novanta per cento del film. Forse la proporzione è esagerata, ma se lo sbagli è una catastrofe».
Si è preso dei rischi con Il traditore, Bellocchio. Prima di tutto quelli del biopic tendenza serie televisiva, genere che di questi tempi parla spesso i dialetti del Sud e racconta storie criminali. Sul boss dei due mondi che preferiva fottere piuttosto che comandare, pieno di donne e di mogli - tutto il contrario di Riina, che lo odiava così ferocemente da sterminargli la famiglia - c' è tanto materiale da poter pensare alla serializzazione. E comunque il film è venuto di due ore e venti.
«Niente da dire, negli ultimi tempi ho visto serie, soprattutto americane e inglesi, molto belle. Io ho cercato di difendere la struttura narrativa, da romanzo storico. A un certo punto si è pensato di chiudere il film quando Buscetta scopre come sono stati uccisi i suoi due figli, tagliando fuori tutti gli aspetti politici, ma Ciccio La Licata, che con Saverio Lodato mi ha fatto da consulente, era contrario: le rivelazioni sulla connivenza mafia politica erano un debito di Buscetta verso Falcone, la rivincita postuma del giudice. Lo scontro con Franco Coppi, l'avvocato di Andreotti, è un bel finale: don Masino, già debole e stanco, si è votato alla sconfitta».
Veramente il finale è un sogno, quasi un delirio: Buscetta, che ha decantato a Falcone - suscitandone l'irritato scetticismo - l'onorabilità della Cosa Nostra d' antan, contraria a uccidere donne, bambini, preti, giudici e poliziotti, gli ha raccontato anche di non essere mai riuscito a giustiziare un condannato dalla Cupola perché quel galantuomo si faceva sempre scudo col figlioletto, intoccabile per tabù mafioso.
Solo anni e anni dopo e in fase rem, adempie finalmente il suo mandato: al termine del matrimonio di quel figlio ormai grande, grosso e andato per la sua strada. In realtà il sicario non fu Buscetta, o perlomeno don Masino non confessò mai l'omicidio a Falcone, però Bellocchio ha deciso così: «Ho voluto gettare un'ombra sul personaggio, mi dispiaceva simpatizzare troppo».
Invece, all' inizio del film c'è un ballo elegante - e non cafone come si potrebbe immaginare visto il contesto mafioso, ma l'anfitrione è Stefano Bontate, detto il Principe di Villagrazia - che fa venire in mente Il gattopardo, e più avanti c'è un omicidio compiuto in una vetreria, con l'azione riflessa dagli specchi, che ricorda La signora di Shanghai.
«Lo so benissimo, quello che filmo nasce dalla mia vita, e da tutto quello che ho visto, ma stavolta, credo solo per fare cronaca, ho citato i trascorsi da vetrai della famiglia Buscetta». E ci sono altri sogni e le associazioni, dispositivi tipici del cinema di Bellocchio: la fiamma ossidrica che chiude la bara nell'incubo di don Masino sfuma nella realtà delle griglie che vengono saldate alle finestre della cella di massima sicurezza.
Poi, ancora, le iene e le tigri; i detenuti eccellenti che girano come criceti in gabbia col televisore che rimanda in loop l'io vi perdono, però dovete mettervi in ginocchio di Rosaria Schifani; e Andreotti che esce in mutande dalla sartoria dove Buscetta prova il vestito per l'udienza. «Oh, io ho fatto il Centro sperimentale, studiavo Eisenstein e il montaggio delle attrazioni, sempre che funzionassero».
il traditore favino e bellocchio
Per certi versi Il traditore è anche, o soprattutto, un legal drama, ma rovesciato. Guardate nei trailer le scene del Maxiprocesso, edificato in gran parte sulle rivelazioni di Buscetta. La sguaiataggine al potere, anzi la follia o la sua rappresentazione che tenta di prendere il controllo della macchina giudiziaria per bloccarla e delegittimarla. Un uomo si spoglia nudo, un' altro si cuce la bocca, il pentito Totuccio Contorno parla un siciliano che i mafiosi e i loro avvocati dicono di non capire, Buscetta e Calò disputano come due comari, il presidente della corte mormora che servirebbe un presidio psichiatrico. Tutto vero, al massimo un po' enfatizzato. Anche se oltre trent' anni dopo è difficile crederlo.
«È la dimensione teatrale, la scena su cui si svolge la tragedia e la farsa. Io ci ho messo il lato beffardo, sarcastico, melodrammatico: non a caso sulla sentenza parte il Va' pensiero». Non ha sentito aliti minacciosi sul collo, mentre girava a Palermo. «L' unica cosa strana, involontariamente comica, è che una quarantina di comparse ingaggiate per il Maxiprocesso non sono potute entrare nell' aula bunker del tribunale: si è scoperto che erano pregiudicati».
Come reagiranno le generazioni che non sanno o non ricordano niente di quegli anni? Bellocchio dice che ci sono elementi incoraggianti, anche perché si parla di personaggi che non sono vissuti a Bobbio, location piacentina del suo cinema più autobiografico. E alla coproduzione hanno partecipato Francia, Germania, Brasile. «All' inizio si cercavano star internazionali, inevitabilmente da doppiare, che per fortuna non si sono trovate. Per la gloria del siciliano, lingua meravigliosa».
L'ARRESTO DI TOMMASO BUSCETTA IN BRASILE NEL 1983
E adesso ecco Cannes, che potrebbe servire molto per il lancio del film - in uscita il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci - e che fa un gran piacere a uno, come dice lui, al tramonto della carriera. «Io di solito faccio scelte diverse, rielaboro fatti radicali della mia vita, da I pugni in tasca a L'ora di religione. Ma poi ci sono anche personaggi come l'Aldo Moro di Buongiorno, notte o l'Ida Dalser di Vincere, con la sua tragedia e quella di suo figlio, il figlio segreto di Mussolini, che mi attraggono e mi creano una risposta in immagini».
In ogni caso i fan del Bellocchio autobiografico possono star tranquilli. A Bobbio è in preparazione Urlo, rievocazione di una tragica vicenda familiare già affrontata in due film, questa terza sarà un documentario. Caschetto non è contemplato: qui si autoproduce.
Per la prima volta in oltre cinquant' anni di carriera e quasi ottant' anni di vita (portati assai bene nonostante due recenti trapanazioni del cranio in seguito a un incidente di macchina durante i sopralluoghi per il film), Marco Bellocchio ha utilizzato il trucco prostetico: per invecchiare Favino. Che, per una strana coincidenza, ha subito dopo proseguito il gioco delle protesi, trasformandosi in un somigliantissimo Bettino Craxi per Gianni Amelio.
L arrivo di Tommaso Buscetta in Italia il luglio Ansa
«All'inizio ero piuttosto scettico, io credo che gli attori dovrebbero limitarsi nel procedere per imitazione. Se sono molto bravi possono rivoluzionare il personaggio, ma dopo una, due, tre volte forse è meglio dire basta. In Italia lo faceva Volonté, ma non era ancora il tempo dei prostetici, era sempre lui. Però devo ammettere che alla fine, lavorando con parsimonia, sono rimasto soddisfatto. L'unica cosa che non capisco è come un attore sia disposto a passare tante ore al trucco, e come non si senta limitato con quella corazza addosso ma, anzi, più libero».
Comunque, a fine intervista il tradimento aleggia ancora. Aleggia sulla conversazione e sulla scrivania di vetro di Bellocchio, vigilata, sul lato sinistro, da una statua bianca di Mao di un certo riguardo. «Se ne vogliamo parlare, dobbiamo affrontarlo nel suo aspetto doppio, anzi, triplice. Qualcuno può aver considerato un tradimento il mio distacco dalla comunità di Massimo Fagioli, senza mai rinnegarla e quando lui era ancora in vita: un distacco che rivendico come libera scelta.
Ho tradito anche lasciando i marxisti leninisti dopo una breve stagione, quando e mi sono reso conto che non c' era alcuna consistenza. Ma il mio vero tradimento è quello compiuto nei confronti della mia famiglia, dell' educazione religiosa e borghese che ho ricevuto. Ho spesso l' impressione che mi considerino un radicale, ma sono un radicale moderato, bivalente, c' è una mentalità cattolica di moderazione, colpa e perdono che in parte mi è rimasta dentro pur avendola combattuta.
Ecco, rispetto al tradimento della famiglia e della politica non ho dubbi o rimorsi, perché ho mantenuto un grande affetto per le persone coinvolte, anche per mia mamma, nonostante il brutto destino riservato alla madre di I pugni in tasca, spinta in un burrone. Ma il distacco da Fagioli ancora oggi è lacerante».
E dopo un trentennio di analisi, e un buon decennio dal distacco, come si vive senza? «A volte dici cavolo! hai fatto un sogno non puoi telefonare. Gli imperatori avevano il loro indovino e, siccome prendo molto sul serio queste cose e so bene che ci sono chiavi per interpretarle, a volte vorrei fare una telefonata, ma non si può. Per Urlo ho parlato un po' con Luigi Cancrini e con padre Virgilo Fantuzzi, lo storico critico cinematografico di Civiltà Cattolica, ma alla fine i miei sogni me li tengo. O li metto nei miei film».
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