DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
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Stefano Semeraro per “la Stampa”
Era il 1976, c'era Adriano Panatta in campo al Foro Italico a Roma per la finale degli Internazionali d'Italia contro Guillermo Vilas. E poi c'era quel signore con i baffi e il microfono in mano, la faccia buona e intelligente, capace di avvicinarsi con la leggerezza di un Comanche, quasi gattonando sulla terra rossa del centrale di allora, per chiedere a Panatta, in diretta tv durante un cambio di campo: «Adriano come ti senti?». Un signore educatissimo e ubiquo, di nome Gianni Minà.
«Oggi una cosa del genere sarebbe impossibile», sorride Panatta. «Per un giornalista è diventato quasi impossibile fare un'intervista normale a un giocatore, figuriamoci entrare in campo durante la partita. Ci sono come degli sceriffi: se ti avvicini ti arrestano. Gianni era così, riusciva a fare quello che gli altri non pensavano nemmeno». Ma che sapeva di potersi permettere: per abilità e per conoscenza del mondo. «A quei tempi eravamo già amici, cenavamo spesso insieme, quindi in realtà vedermelo spuntare vicino non mi diede neanche fastidio, anche se in quel momento stavo perdendo. Magari ad un altro avrei dato una racchettata in testa… Ci provò poi una seconda volta, e allora lo fermarono. Quindi credo che rimanga un episodio unico, nella storia del tennis e forse dello sport. E irripetibile».
Formidabili, quei decenni.
Fatti di frequentazioni continue, assidue, di amicizia vera; di cene e incontri fra il casalingo e il surreale. Minà era l'amico geniale e gentile a cui nessuno sapeva dire di no. «A Gianni, del resto, che volevi dirgli? Era amico di tutti. A quei tempi ci trovavamo spesso insieme, a casa sua, con noi c'erano Gianni Boncompagni, Franco Bracardi, Mario Marenco, Renzo Arbore, erano serate molto divertenti».
(...)
«Gianni era, soprattutto, una brava persona. Mai malizioso, come i giornalisti, anche per mestiere, a volte devono essere. Mai sopra le righe.
(...)
«Una volta, ai tempi della motonautica, andai a Cuba per una gara del mondiale. A quei tempi lavoravo per Tele Monte Carlo, la 7 di oggi. Facevo i servizi per il telegiornale e alla gara d'esordio si presentò Fidel Castro. Ci salutò tutti, poi stava per montare sullo starter, la barca che dà l'avvio alle gare. Mi feci coraggio e da lontano gli dissi: "Comandante, sono un amico di Gianni Minà…". Castro si fermò, mi guardò e mi sorrise: "Gianni Minà, certo. Allora vieni, vieni con me…". E ottenni l'intervista».
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