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Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
Giacomo Agostini, quando gareggiava era più importante lei o la Ferrari?
«La Ferrari era la Ferrari. Però io ero Agostini, correvo con la Mv Agusta e l'Italia la reclamizzavo pure con il casco tricolore. Un messaggio perfetto, piacerebbe anche al marketing di oggi».
Colline di Bergamo. Su un'altura con vista impagabile c'è la reggia del re non ancora detronizzato delle due ruote: Ago per tutti, 15 titoli mondiali, 2 in più rispetto al numero delle stagioni disputate. Nessuno come lui, forse per sempre. Entrare nel museo annesso alla villa significa viaggiare a ritroso nel tempo e assaporare imprese cominciate nell'era delle tute nere e di un motociclismo romantico e pericoloso.
Agostini è più bresciano o bergamasco?
«Sono nato a Brescia, però a 12 anni ho lasciato la città per la provincia. Le radici sono più sbilanciate su Bergamo: le gioie motoristiche le ho vissute lì».
Nello sport aveva un'alternativa alle moto?
«No, sono nato su due ruote. Papà usava la moto, ma solo per andare in ufficio e col sole. Io sognavo di correre e guidare autotreni».
Autotreni?
«Avevamo un'azienda di trasporti sul lago d'Iseo, lì trovavo i camion: non appena possibile salivo sopra, ma guidavo in piedi perché da seduto non toccavo terra».
Le gare dell'inizio erano «clandestine».
«A Lovere frequentavo i paesi della riviera. Tra gli amici del bar c'era uno sbruffone che esibiva moto bellissime, mentre io, taciturno, avevo una semplice Moto Guzzi Lodola. Un giorno mi provocarono: "Volete fare una gara con quel pistolino?". Rilanciai: "Giochiamoci qualcosa". Partimmo, non li vidi più. Li ritrovai al bar: li avevo seminati dopo quattro curve».
Papà non voleva che lei gareggiasse e per dare il permesso si consigliò con un amico notaio. Però costui era sordo e non capì.
«Non era sordo. Aveva compreso male: il ciclismo era popolare, credeva si parlasse di biciclette. Disse: "Lascialo fare, lo sport fa bene". Trasalì quando l'equivoco fu chiarito. Però mio padre s' era ormai impegnato».
È vero che le sabotavano le moto?
«In una gara accadde. Esperienza pericolosa. Le moto erano in un parco chiuso simile a un pollaio. Grattarono il cavo dell'acceleratore: quando diedi gas, si spezzò».
Ha amato la Moto Morini più della Mv?
«La Morini mi ha dato la prima vittoria e ha indirizzato la carriera. Da senior l'ho avuta solo nel 1964, ma è rimasta nel mio cuore».
Il rapporto con il conte Domenico Agusta?
«Era il padrone, io il dipendente: te lo faceva capire. Però ho legato con il team: sento ancora chi è in vita; di recente è morto un meccanico di 100 anni, ero con lui quando è mancato».
Poi dalla Mv divorziò...
«Fu a causa di una moto nuova, una 4 cilindri. Era potente, ma mi trovavo meglio con la più rodata 3 cilindri. Tuttavia a Hockenheim, circuito veloce, chiesi la 4 cilindri. Rocky Agusta, figlio di Corrado, me la negò. Era team manager, faceva il galletto. Ma fu una scelta stupida: se vincevo io, vinceva pure Mv. Mi raffreddai e nel contempo capii che il futuro erano i motori a due tempi. Così scelsi Yamaha».
Oggi sarebbe stato linciato sui social.
«Anche all'epoca: dissero che Agostini era un traditore. Ma ripagai i tifosi vincendo subito, prima a Daytona e poi il Mondiale 350».
Agostini era popolare. Ma vedendo Valentino Rossi non pensa che avrebbe fatto meglio a nascere dopo?
«Non rinnego i miei tempi. Ero felice, era tutto più umano. Eravamo una famiglia anche se l'amicizia era relativa, essendoci di mezzo la rivalità».
Ha visto morire tanti colleghi...
«In certi anni addirittura uno a gara. Al Tourist Trophy, dove ho vinto 10 volte, sono deceduti, a oggi, 250 piloti. È pericoloso. Però correre lì dà emozioni uniche: hai buche, asfalto, salite, discese, salti, rotaie, dossi. In ogni giro, da 60 km, trovi le quattro stagioni. Ma se guardi al pericolo... Ecco, non devi pensarci. Certe cose le fai solo da giovane. Quando torno per i revival mi dico: Mino, eri matto».
Poi c'era la famosa «dama bianca»
«Mi aspettava ogni mattina alle 4.45. Apriva la porta di casa, sulla strada della corsa, e usciva con un vestito bianco: lo alzava e faceva vedere le cosce, quindi lo abbassava».
Agostini contro Pasolini. Era il Coppi-Bartali delle moto?
«All'inizio correvo spesso in Emilia-Romagna, dunque chez Pasolini . Renzo aveva più tifosi, ma poi molti sono passati dalla mia parte. Devo ringraziare Paso: senza di lui come rivale non sarei cresciuto in fretta. Come Coppi e Bartali? Sì. All'estero Renzo rendeva meno: si sentiva spaesato. In Italia era un fulmine».
Lei è stato molto amico di Nieto.
«Ho avuto un rapporto eccezionale, Angel correva nella 50 e nella 125, classi che non erano le mie. Non essere avversari ha aiutato, ma ci volevamo bene. Mi emozionava quando diceva: "Voglio fare quello che fa Giacomo; se lo fa e vince, ha ragione lui"».
I 78 anni: pesano o sono un orgoglio?
«Un po' pesano. Per fortuna mi sento sempre giovane: giro ancora in moto, partecipo a revival, corro, vado ai Gp. Però quando penso che ne ho pochi davanti...».
Valentino Rossi è in fase calante, Marc Marquez s' è infortunato seriamente a un braccio:
Giacomo Agostini ha lanciato macumbe?
«Valentino ha avuto una gran carriera. Alla sua età è difficile emergere, ma finché c'è vita c'è speranza. A Marquez, invece, ho solo detto: "Mi hai dato un anno di respiro in più"».
Il record di Ago è inattaccabile?
«Dipende da Marquez: potrebbe batterlo. Valentino si era avvicinato, ma ora non vince da un po'. E si diventa vecchi, non giovani».
La vostra era una vita dura, non è così?
«Terminavo una gara sotto la pioggia e non potevo cambiare la tuta. Al box preparavano la moto per l'altra prova e prima del via mi portavano una pentola d'acqua calda: mettevo dentro i piedi per qualche minuto, poi sostituivo le calze. Ma tuta e stivaletti restavano fradici».
Quale visione ha Agostini dell'Italia?
«Siamo un gran Paese, però non riusciamo ad andare d'accordo. La politica è pazzesca e mi rifaccio a Zingaretti: tutti sono lì per la poltrona. Poi c'è troppa incompetenza per una Nazione che prima di tutto è un'azienda».
Lei ha casa in Spagna: si trasferirebbe lì?
«È il luogo natio di mia moglie ed è un posto meraviglioso, ma io sto bene in Italia. Quando vado in vacanza non vedo l'ora di tornare».
Ma la Spagna è meglio dell'Italia?
«Meglio no, è simile. Conosco il Sud, bello e con gente come una volta. Le case sono senza barriere. Un giorno la mamma di Maria si trovò un tipo tra i piedi: era un ragazzo ed era venuto a rubare. Dopo un quarto d'ora erano seduti a bere un caffè...».
Una volta a Parigi lei cenò con Alain Delon e Carlos Monzon. E soffiò una bionda a Delon...
«Eravamo al Teatro Dassault a Champs-Élysées. Alain era con una splendida amica, ma a sorpresa arrivò Mireille Darc, compagna dell'attore. Così mi chiese di fingermi il fidanzato della ragazza. Non aspettavo altro... Serata fantastica. Con l'amante di Delon».
Nel 1974 a Daytona la sfotterono chiamandola «Ago-Daisy» e «Ago-Dago».
«La General Motors mi diede un'auto con la scritta "Agostini 13 volte campione del mondo". Ma Kenny Roberts, campione Usa, in un'intervista disse che il mondo è l'America, non l'Europa. Quindi l'iridato era lui. Rimasi male, ma non ribattei».
Kenny aggiunse: «Me lo mangio crudo».
«A metà gara ero già in testa. Però ero disidratato, cercavo il sudore con la lingua per avere un liquido. Volevo fermarmi ma a Daytona c'era il pienone: avrei deluso tutti. Andai avanti e questo spiega quanto contano testa e grinta. Alla fine non stavo in piedi, mi fecero una flebo. Andando alla premiazione incontrai Roberts. Gli dissi: "Hai capito chi è il campione del mondo?". E lui: "Non sei umano"».
Il Drake le avrebbe affidato una monoposto
«Ci incontravamo a Modena, usavamo la stessa pista per i test. Provai la Rossa, andai bene, Ferrari mi fece la proposta. Feci una riflessione, conclusi che ero nato per le moto». Ferrari che cosa disse? «Solo "bravo". Aveva capito che non era giusto che tradissi un amore».
Agostini è stato anche il primo, nelle moto, a curare l'immagine
«Ho vissuto la fase in cui dalle tute nere si passava a quelle colorate, con l'apparizione degli sponsor. Sono stato la transizione tra il pilota povero e quello ricco».
Arrivò l'offerta di Germi per il cinema.
«Avevo già fatto tre film. Germi mi propose un copione, io mi schermii: non sono all'altezza. E lui: "Segui me, farai bene. Cominceremo a marzo". E io: "Ma il Mondiale parte il 19". Germi rimase di stucco: non si capacitava che preferissi le "motorette". Lo ringraziai, finì lì».
Agostini ha saputo dire dei no importanti...
«Nel nome della mia passione: la moto».
È mancato da poco Fausto Gresini
«Correva quando stavo finendo. Persona squisita, aveva il pregio di guardarti sempre negli occhi. L'ho sentito durante il ricovero, ero convinto che ce l'avrebbe fatta».
Quali personaggi ammira?
«Nello sport Muhammad Ali, che ho conosciuto. Tra i politici Kennedy, ma anche Putin. Sarà discutibile, ma non cala mai le braghe».
Che cosa c'è da sperare per il futuro?
«Che la gente sappia scegliere chi ha testa, conoscenza ed è onesto. I messaggi forti sono decisivi. Penso a Maradona, che ho stimato come campione. Ma con la sua vita sregolata che cosa ha lasciato ai giovani?».
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