imperial war museum

L’ARTE DEL TERRORE (DELLE ANIME BELLE) – DRONI, TELECAMERE E BOMBE A MANO: ALL’IMPERIAL WAR MUSEUM DI LONDRA 50 OPERE RACCONTANO COME E’ CAMBIATO IL MONDO DALL’11 SETTEMBRE 2001 AD OGGI – L’INSTALLAZIONE DI KALLAT SULLE PROCEDURE DI PERQUISIZIONE DEGLI AEROPORTI E I FRATELLI CHAPMAN - RIELLO: "E' BIZZARRO FARE DELL'ARTE CONTEMPORANEA UNO STRUMENTO PER CRITICARE GLI USA E L'OCCIDENTE E NULLA SULL'ISIS"

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Antonio Riello per Dagospia

 

fratelli chapman

“L’età del Terrore, Arte dal 11 Settembre (2001) ad oggi”. Un titolo dall’indole piuttosto drammatica in un luogo a sua volta pieno di Storia (e delle tragedie che hanno accompagnato la Storia) come l' Imperial War Museum di Londra. Il museo celebra proprio nel 2018 il centenario della sua fondazione.

 

La curatrice, Sanna Moore, ha avuto davanti a sè un compito piuttosto difficile che ha risolto con grande competenza organizzando un parterre di artisti di tutto rispetto. In sostanza si trattava di mostrare come l’Arte Contemporanea in questi diciassette anni avesse saputo (potuto e voluto) raccontare il proprio rapporto con la guerra, il terrorismo e la violenza che ne è scaturita.

 

Ci sono circa cinquanta opere in mostra organizzate in quattro sezioni:

  • La testimonianza diretta degli artisti stessi agli eventi dell' 11 Settembre
  • Il tema della sicurezza e della sorveglianza (anche pervasiva)
  • La complessa relazione con le armi da fuoco e le bombe
  • Le distruzione causate dai conflitti al territorio, al paesaggio e all’ambiente urbano

Il primo lavoro che si incontra entrando nel museo, sul pavimento dell’atrio, è una installazione dell’artista britannico James Bridle, “Drone Shadow” (2014). Questo artista da tempo ha focalizzato la sua personalissima ricerca sull’uso militare dei cosiddetti droni (aerei teleguidati) e qui dà prova della sua visionaria ossessione.

 

Nelle sale dedicate alla mostra ci si imbatte inizialmente nell’installazione del cileno Ivan Navarro impressionate e abbastanza difficile da dimenticare. “The Twin Towers” (2012) è realizzata utilizzando una serie di neon e specchi che creano l’illusione di uno spazio concavo ed infinito che sprofonda nell'abisso dove sono riprodotti i due celebri grattacieli (visti quindi in "negativo" e svettanti verso il basso). Vicino è piazzata, fredda e in qualche modo minacciosa, una delle telecamere fatte tutte in marmo di Ai Wei Wei nel 2014.

sierra

Mona Hatoum, artista britannico-palestinese, con “Natura Morta” (2012) propone una serie di bombe a mano realizzate in vetro di Murano e alloggiate in un elegante mobiletto/vetrinetta stile anni quaranta, come se fossero degli ambigui bicchierini da rosolio o da limoncello.

 

Lo spagnolo Santiago Sierra, con “Veteran Facing the Corner” (2013) espone la foto un soldato americano in uniforme e cappello da cow-boy visto di spalle che sembra essere stato messo all’angolo in castigo (ma potrebbe anche essere semplicemente un soldato maleducato in procinto di fare la pipì sullo stesso angolo….). Diversi piani interpretativi si mescolano in polemico e precario equilibrio.

 

Gli incorreggibili fratelli Jake e Dinos Chapman hanno portato il loro "Nein! Eleven?" (2012). Un intelligente ed ironico misto di splatter e didattica precisione museale.

mona hatoum

Grayson Perry, un artista particolarmente amato in Gran Bretagna anche per le sue trasmissioni televisive, invece ha in mostra un vaso in ceramica dal titolo "Dolls at Dungeness September 11th" (2001). Molto curato ma forse non straordinario.

 

Coco Fusco, artista americana nota soprattutto per il suo impegno in termini di gender, con "Operation Atropos" (2006) racconta con un video le violenze e i maltrattamenti patiti dalle donne arrestate con l'accusa di terrorismo.

 

Hans Peter Feldman, fa vedere "Front Page 9/12" (2001) la sua collezione di quotidiani usciti il 12 Settembre 2001. E' composta da giornali che stati inviati da amici e conoscenti sparsi in tutto il mondo su richiesta dell'artista.

 

"Bomb Iraq         " (2005) è un videogame fatto da Cory Archangel (pioniere americano dei videogame prodotti dagli artisti) che intrattiene interattivamente i visitatori più pazienti.

 

Jim Ricks ha fatto un piccolo ma micidiale arazzo, "Predator" (2016), che illustra con eleganza minimale le azioni di un drone militare americano.

Nathan Coley con "A Place Beyond Belief" (2012) si fa notare con la sua imponente installazione luminosa che celebra la perdita dell'innocenza di un mondo divenuto sempre più ostile ed indifferente.

 

"Black Bunting" (2001) notevole opera di Fiona Banner consta di una grande installazione celebratoria (stile compleanno anglosassone) fatta di festoni e bandierine che però sono tutte completamente e rigorosamente nere.

Jitish Kallat

 

Il lavoro più curioso e fotografato è comunque "Cyrcadian Rhyme 1" (2012) dell'indiano Jitish Kallat: una installazione dove si possono ammirare varie situazioni (anche molto buffe talvolta) legate alle procedure di perquisizione degli aeroporti.

Non mancano all'appello neanche "pezzi da novanta" come Jenny Holzer, Tony Oursler, Gerhard Richter.

 

Un primo pensiero è che tutta una diffusa serie di pratiche, immagini e attitudini prima sconosciute sono state (indirettamente) generate proprio dagli attentati del 2001. E' mutato certamente il nostro modo di viaggiare, soprattutto in aereo. E' cambiata la nostra reazione di fronte al colore arancione (le tute dei prigionieri di Guantanamo sono appunto di questo colore che ha oramai sostituito nell'immaginario collettivo l'abito a righe bianche e nere verticali che i carcerati un tempo indossavano). Come pure anche la reazione verso chi, uomo o donna, si veste mostrando elementi tipici del sartorial islamico; da allora un qualcosa molto spesso ammantato di una certa sottile ansiogena diffidenza.

 

Jim Ricks

La seconda riflessione è che, con qualche rara eccezione (Ivan Navarro e i Chapman), quasi tutti gli artisti coinvolti sono decisamente in accesa polemica contro le misure messe in atto contro il terrorismo, piuttosto che riflettere sul fenomeno stesso o criticarlo.

 

Sembra che il vero nemico siano gli USA (l'Occidente in generale) e le pratiche di sicurezza messe in atto per scongiurare altri attacchi. Il "politicamente corretto" è senz'altro una cosa buona e giusta ma quando diventa un mantra ossessivo e fine a sè stesso il risultato può arrivare a sfiorare pericolosamente il ridicolo. Qui purtroppo ci siamo vicini.

 

Ovviamente è detestabile e penosa ogni arte quando fa la ruffiana con il Poteri Costituiti. Non serve celebrare chi comanda: fa sempre male all'Arte e al Potere stesso. Certo la guerra in Iraq è stato un madornale errore e non è stato l'unico. Giusto naturalmente essere decisamente contro ogni forma di colonialismo.

 

Ma è bizzarro e insensato fare dell'Arte Contemporanea uno strumento per criticare univocamente le scelte fatte dai Paesi Occidentali, soprattutto in una situazione di evidente emergenza. A meno che non si dia credito agli immaginari complotti della fanta-politica on line.

 

imperial war museum

Mi chiedo insomma perchè nessun artista importante in mostra ha causticamente preso in giro o sbeffeggiato gli autori o i mandanti della strage. A dire la verità anche l'empatia con le vittime qui sembra essere in generale abbastanza tiepida, pare che l'unico bersaglio sia proprio l'Occidente e il proprio diritto di difendersi.

 

Per la cronaca, lo stesso mondo che ha inventato/finanziato/orchestrato Musei e Biennali varie e soprattutto alimenta direttamente un ricco mercato fatto di aste e acquisizioni milionarie. Per fare un esempio lampante: lo sponsor principale di Basel Art Fair è la famigerata banca svizzera UBS e non Oxfam o qualche altra charity ipercritica verso Washington, Londra o Parigi.

 

Palesemente si intravede una gigantesca incoerenza: quasi tutti gli artisti in mostra comunque vivono (e talvolta felicemente prosperano) nei paesi che apparentemente sembrano tanto detestare con la loro arte. Questo vale anche per quegli artisti di successo che provengono originariamente da nazioni considerate - in default -"buone/vittime" e che preferiscono in ogni caso bere abitualmente il loro caffè nei locali eleganti e costosi della Mayfair londinese. Forse è il loro modo di contestare quella diabolica parte di mondo che li ospita e che considerano causa di ogni possibile male sulla Terra...

riello

 

Oppure, altra sensata spiegazione, siamo di fronte ad una grave, persistente ed incurabile epidemia di masochismo culturale. Il rigurgito amaro di passate rapaci politiche coloniali, mai veramente digerite, che oggi ritornano con i loro dirompenti veleni/sensi di colpa.

 

 

Imperial War Museum London

Lambeth Road, Londra, SE1 6HZ

ANTONIO RIELLO

AGE OF TERROR: ART SINCE 9/11

Fino al 28 Maggio 2018