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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
1. NON È UNO SCANDALO, METODO GIUSTO
Francesco Bonami per "La Stampa"
Chi guardava con sospetto il nuovo corso preso dal ministero dei Beni Culturali per la gestione e la programmazione dei principali musei italiani dovrà almeno per il momento ricredersi. La nomina dei 20 nuovi direttori da parte di una commissione presieduta da Paolo Baratta, presidente della Biennale, è un chiaro segnale che si vuol cambiare musica. Dei nuovi direttori ne conosco personalmente pochi e quindi il mio giudizio non è personale ma di metodo. Il ministero ha seguito un buon metodo per selezionare i candidati.
paolo baratta dario franceschini
Dai curriculum si può capire che hanno partecipato alla selezione non solo soldati di fortuna in cerca di un posto e di uno stipendio nel Paese più bello del mondo, ma solidi professionisti disposti a rischiare carriere sostanziose, forse anche più remunerate, all’estero per buttarsi in un’avventura che se gestita in modo adeguato con il giusto senso della responsabilità e un sincero coraggio potrebbe diventare non solo affascinante ma anche trasformarsi da avventura in progetto e da progetto in capitale culturale finalmente adeguato a ciò che l’Italia avrebbe meritato da molto tempo. Il bicchiere per ora lo vogliamo vedere mezzo pieno.
Ma non sarebbe una corretta valutazione se non facessimo lo sforzo di vederlo anche un po’ mezzo vuoto. Infatti, almeno sulla carta, un paio di nomine deludono un po’ anche se poi saranno i fatti a darci ragione o torto. James Bradburne alla Pinacoteca di Brera mi sembra insufficiente. A Palazzo Strozzi dove è stato direttore non è veramente riuscito a far diventare l’istituzione fiorentina un vero polo di riferimento internazionale sia per i programmi che per numero di spettatori.
Brera è molto più complicata di un Palazzo Strozzi, gli auguriamo di abbandonare sia l’anima populista che quella di designer culturale, dando a Brera quello che è di Brera, reputazione, visibilità e il pubblico che si merita. Difficile comunque in questa nomina non vedere l’ombra di qualche strascico di trama renzista arrivata dal sottobosco fiorentino. Un’altra nomina che trovo un po’ esagerata è quella di Cristiana Collu alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Ho sempre stimato la Collu per il lavoro al Man di Nuoro ma la sua ascesa repentina mi ha fatto sorgere qualche sospetto.
Al Mart di Rovereto non ha fatto un granché sciupando un po’ l’eredità di quella forza della natura che era stata Gabriella Belli, ora a capo dei musei civici veneziani. Vederla alla testa di uno dei luoghi più simbolici dell’Arte Moderna e Contemporanea d’Italia con grande bisogno di rinnovamento mi fa piacere da un punto di vista generazionale, ma anche qui non posso non vedere una nomina sproporzionata al merito e forse un po’ pilotata, probabilmente da Franco Bernabè, ex presidente del Mart e sostenitore, a prescindere, della Collu.
Detto questo saranno i fatti, la totale libertà e l’autonomia che speriamo il Ministero vorrà dare ai nuovi direttori assieme ad una vera responsabilità. Autonomia e libertà sono inutili ed inefficaci senza una effettiva responsabilità di programma ed amministrativa. Essere un direttore di un importante istituzione pubblica non significa privilegiare il ruolo di manager a quello curatore o di storico. Significa essere capaci di farli coesistere con la coscienza che quello che si ha fra le mani non è un arma di vanità personale ma uno strumento che deve essere al servizio di un pubblico, speriamo il più vasto possibile, fatto di gente normale e di esperti, di curiosi e appassionati, nessuno dei quali deve essere trattato né con sufficienza né con accondiscendenza, ma con rispetto.
Rammentando la grande regola del commercio, «un cliente educato è sempre un cliente migliore». Il che vuol dire offrire al visitatore una cultura non macdonaldizzata, ma saporita e digeribile senza che si debba ricorrere all’amaro per togliersi il peso dallo stomaco o dalla testa prodotto da mostre o eccessivamente di nicchia o svaccatamente popolari e pecorecce.
Se i venti, o almeno una gran parte di questi nuovi direttori riuscirà a raggiungere questo obbiettivo, allora l’italia dell’arte avra’ davvero voltato pagina e la gratitudine verso il ministro e la commissione sarà non solo confermata ma raddoppiata. Per il momento, come avrebbe detto l’allenatore Ferguson, «Well Done!».
2. "FRANCESCHINI CI HA SFIDUCIATO" - TRA I NUOVI DIRETTORI DEI MUSEI SOLTANTO UNO PROVIENE DAL MIBACT, BOCCIATA UN' INTERA CLASSE DIRIGENTE
Francesco Erbani per “la Repubblica”
Il malessere è diffuso, si tocca con mano. Dei venti superdirettori che gestiranno musei e siti archeologici soltanto una, Anna Coliva, proviene dai ranghi del ministero per i Beni culturali. Una su venti è un rapporto che stride con quello in vigore fino a ieri: venti su venti. Come a dire che una porzione rilevante della classe dirigente del ministero è stata sfiduciata. Sapete fare bene gli storici dell' arte o gli archeologi, siete bravi nella tutela, ma gestire un museo non è roba per voi: questo il succo del messaggio che sta dietro le nomine di ieri.
Un messaggio che viene raccolto nelle soprintendenze, negli uffici ministeriali, fra direttori ed ex direttori. E che suscita amarezza, delusione, il senso acre della bocciatura. Andandosi ad aggiungere alla convinzione più o meno radicata che si vada verso una liquidazione del sistema che ha tenuto insieme finora la tutela del territorio e del patrimonio con i musei.
I commenti restano quasi tutti anonimi in un'amministrazione dove valgono regole molto rigide, quasi da caserma. Parla per tutti Antonio Natali, che ha diretto gli Uffizi dal 2006 e che ora cede il passo a Eike Schmidt. Gli fa eco da Roma Rita Paris, che dirige il Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo (oltre ad avere la responsabilità dell' Appia Antica) e che non ha fatto domanda per queste nomine: «Una volta assegnati gli incarichi mi chiedo che cosa cambierà in concreto
«Ho l' impressione che ci si sia concentrati sulla testa, le direzioni dei musei, lasciando intatto tutto il corpo di una struttura che resta uguale a se stessa con le carenze di cui soffriamo, che denunciamo e che molti di noi, direttori di musei provenienti dalle soprintendenze, ogni giorno fronteggiano per fare la valorizzazione che il ministro ci chiede. E che tutto sommato ci riesce assai bene se la grandissima parte dei musei con il più alto numero di visitatori è guidata da direttori delle soprintendenze. E se queste competenze ci vengono riconosciute ovunque andiamo, specie all' estero».
I cahiers de doléances vanno dai custodi che sono sempre di meno, all' esiguità di servizi amministrativi e di marketing. Ci puoi mettere il miglior direttore del mondo, si sente dire, ma se manca il personale, molte sale della Galleria nazionale d' arte antica a Palazzo Barberini di Roma resteranno chiuse, come chiuso resterà un pezzo di Capodimonte perché manca l' aria condizionata. Tutto è migliorabile, fa notare un direttore di museo, ma in fondo quei venti siti li abbiamo fatti diventare appetibili: «Qualcosa vorrà pur dire sulle nostre doti e invece ci tocca essere bollati come piccoli e incapaci travet». Un' intera branca della dirigenza pubblica si sente fatta fuori.
"Sembra quasi un anticipo della riforma Madia della pubblica amministrazione", sostiene qualcuno. A prescindere dalla qualità dei nuovi incaricati, alcuni dei quali sicuramente elevata, in molti sottolineano come si sia passati da direttori di nomina interna, che hanno superato concorsi in cui le competenze museografiche e di gestione erano scrupolosamente accertate, a direttori nominati da un ministro sulla base di una selezione operata da una commissione esterna: questo non genererà, ci si domanda, forme di dipendenza politica in una funzione essenzialmente tecnico- scientifica?
3. LO STATO HA ABBANDONATO LA SELEZIONE DEI SUOI DIRIGENTI
Philippe Daverio al 'Fatto Quotidiano'
È un’operazione ghibellina, come quando l’imperatore nominava il Papa: con queste nomine lo Stato rinuncia alla propria indipendenza, abdica a scegliere la propria classe dirigente che non forma più da anni perché si affida a consulenti stranieri. Tra un po’ avremo un ministro delle Finanze tedesco, perché no?
Dicono che la cultura sia il nostro petrolio, ma, come gli Arabi, abbiamo accettato che lo pompino altri: questa, a mio avviso, è una pagina triste per la cultura italiana, un’abdicazione totale della ragion di Stato, come già accade con i direttori e i sovrintendenti stranieri scelti per le Biennali e i Teatri d’Opera.
I neo nominati avranno principalmente due tipi di rogne: il difficile rapporto con il personale e la gestione della farraginosa burocrazia. Non basta avere buone idee: le buone idee devono averle i curatori, ma i direttori devono saper gestire la macchina. Infine trovo ridicole le quote rosa se diventano un criterio più importante della professionalità: io allora sono per dividere anche in quote tra eterosessuali e omosessuali.
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