bruno conti

E PENSARE CHE RISCHIAVAMO DI NON VEDERE MAI “MARAZICO”! SENTITE BRUNO CONTI: "A 15 ANNI, MIO PADRE DISSE NO ALL'OFFERTA DI ANDARE A GIOCARE A BASEBALL NEGLI STATI UNITI NELLA MAJOR LEAGUE BASEBALL. IO SAREI PARTITO PER GLI USA ALLA GRANDISSIMA…" - IL MONDIALE DEL 1982 E "L’AMULETO PORTAFORTUNA" DEL MAGO DI LIEDHOLM, IL RIGORE SBAGLIATO IN ROMA-LIVERPOOL (“NESSUNO HA VINTO PER 3 ANNI CONSECUTIVI UN MONDIALE, UNO SCUDETTO E UNA COPPA DEI CAMPIONI”) E LA PALLONATA A OTTAVIO BIANCHI…

Roberto Faben per “La Verità”

 

bruno conti

Bruno Conti è un italiano esemplare, non solo per aver dato gaudio agli italiani, ai Mondiali di Spagna del 1982, ma anche perché onora il padre e la madre. È inoltre grato alla sua sposa, Laura, sempre amata, che gli ha dato Daniele e Andrea, entrambi calciatori. E poi ci sono i nipoti, cinque, 3 figli di Daniele e 2 di Andrea.

 

Un quadro famigliare che, nel libro redatto con Gianmarco Menga, Un gioco da ragazzi (Rizzoli), definisce un'«opera d'arte». Erano sette fratelli, lui compreso, 4 femmine e 3 maschi, nati a cresciuti a Nettuno (Roma), in via Romana 142. Il papà faceva il muratore. Madre casalinga, di quelle di un tempo. Da ragazzo interruppe la scuola. Doveva lavorare.

 

Fece il mattonatore e poi consegnò bombole del gas a domicilio, portate a mano. Pelè disse che al Mundial di Spagna fu il migliore. Oggi coordina i ragazzini under 10 e under 16 della Roma.

 

In Italia-Perù, primo turno di quel Mondiale, segnò una rete strepitosa.

«Sbagliai, lo feci di destro, però bello».

 

bruno conti de rossi totti

Quella sera dell'agosto 1970, lei aveva 15 anni, suo padre disse no all'offerta di andare a giocare a baseball negli Stati Uniti nella Major League Baseball.  Se fosse stato un sì, sarebbe partito?

«Assolutamente sì. Vivendo a Nettuno, non c'era disponibilità di campi, solo quello dell'oratorio, andavo a fare il chierichetto pur di trovare un campetto. Il baseball lo giocavi d'estate e d'inverno facevi calcio.

 

Quando si sono presentati una sera a casa il presidente Alberto De Carolis e quello del Santa Monica, senza che sapessi nulla, io neanche parlai, ma sarei partito alla grandissima

rosella sensi bruno conti foto di bacco

 

Quando mio padre rispose "Mio figlio è troppo piccolo", non mi sono risentito. Oggi, che lavoro nel settore giovanile, vediamo molto l'esasperazione di un bambino Io pensavo solo a divertirmi. Ecco perché ho ottenuto risultati».

 

Amava più il baseball o il calcio?

«Mi piacevano ugualmente tutt' e due, perché diciamo che Dio mi ha dato queste doti naturali, l'inventiva, la tecnica, io nel baseball ero bravo come lanciatore, curva, drop, palla lenta, studiavo giornalmente un lanciatore del Nettuno, Alfredo Lauri. Anche nei tornei di calcio, tutti mi chiamavano».

 

Da ragazzino, una voce le diceva: «Un giorno sarai un calciatore famoso»?

«Ai miei tempi, quando vedevo le partite, mi piaceva Gianni Rivera, l'eleganza, gli assist per Pierino Prati, ma non ho mai pensato a una cosa del genere. L'unica persona che ha creduto in me è stato mio zio Fiore, faceva il barbiere a Nettuno, mi portava a fare i provini nella Roma, mi accompagnava a Tre Fontane a fare allenamento con la primavera, gli devo tanto, mio padre si alzava alle 4 del mattino e tornava la sera alle 7, non avevamo la macchina, pensavo di più a portare da mangia' a casa, mia madre mi diceva "va' a lavorare, che ti dà il pallone?"».

BRUNO CONTI COVER

 

In un provino, Helenio Herrera la ritenne troppo gracile. Talvolta alcuni talenti non sono riconosciuti

«Beh, da quello che so, si è verificata la stessa cosa con Messi, che fece provini anche in Italia A volte si valuta più il fisico che la tecnica. Xavi, Iniesta, ma anche Politano del Napoli, per dire Herrera, e anche il Bologna, mi dissero: "Bravo tecnicamente, ma non puoi giocare a calcio per il fisico". Non ho mai mollato, ma non perché pensassi di diventare un calciatore importante».

 

Esordì in serie A, con la Roma, da titolare, il 10 febbraio 1974, in Roma-Torino, all'Olimpico.

 «Ho procurato un calcio di rigore, con un cross, che poi Angelo Domenghini sbagliò. Finì zero a zero».

 

Come controllò l'emozione, pensando che debuttava davanti a 55.000 spettatori?

«Fui convocato il sabato, non sapevo che avrei giocato. Liedholm non mi disse nulla. Quando, nello spogliatoio, ha dato la formazione, arrivò al numero 11, e disse: "Bruno Conti".

bruno conti sandro pertini

 

Non vedevo l'ora di entrare in campo. Già a salire le scalette dell'Olimpico ti tremano le gambe, all'Olimpico girare la testa dalla curva Sud alla Monte Mario è tanta roba, ti trovi in un mondo incredibile, ma ui l'ho affrontata con molta serenità».

 

Nils Liedholm era un fanatico della scaramanzia. Formazioni decise in base all'oroscopo dei giocatori, spargeva in campo due pizzichi di sale. Bisogno di sicurezza?

«Io, sinceramente, non sono scaramantico e invece Liedholm, un grande professionista, aveva questa cosa già al Milan, prima di arrivare alla Roma. Al Milan conobbe il mago Mario Maggi. Poi, quando andavamo a giocare al Nord, contro Juve, Inter e Milan, ci portava da lui a Busto Arsizio. Quando si entrava in campo, andavi sotto la curva a prendere un mazzo di fiori regalato, ma non si potevano portare nello spogliatoio. Liedholm diceva no».

 

Essendo svedese, uno penserebbe alla razionalità. E invece…

« Un giorno partiamo da Trigoria per andare all'Olimpico. C'era un po' di traffico, l'autista del pullman dice: "Mister, se magari facciamo un'altra strada". Rispose: "No". Non voleva cambiare strada. In pullman o aereo, viaggiava sempre al solito posto».

 

Oltre a questo, che ricordo ha di lui?

BRUNO CONTI MARADONA

 «Liedholm è stato un padre per me, un maestro in tutto. Non potrò mai dimenticare il primo allenamento con la prima squadra. Venivo dalla primavera, entriamo in campo e, davanti a tutti i giocatori, Picchio De Sisti, Cordova, mi dice: "Fai vedere questo stop d'interno". Il calcio l'ha insegnato a tutti, la sua famosa ragnatela, il gioco a zona

Quando la Roma, dopo il Genoa, voleva cedermi al Pescara, ha voluto a tutti i costi che tornassi a Roma. Grande Barone! È stato tutto per me».

 

Il mago Maggi, le diede un amuleto portafortuna che portava nella catenina in Italia-Perù

«Una sera, prima dei Mondiali, andammo a Busto Arsizio. Non credo tanto a queste cose, però il mago, col camino acceso, mi diede l'amuleto dicendomi: "Lo vuoi mettere? Non lo vuoi mettere? Fai come vuoi". All'epoca, giocando, si potevano ancora portare le catenine. Già in preparazione ho messo il ciondolino di ferro nella catenina. C'era un ventaglio stretto sopra, che si allargava sotto. Liedholm non mi ha detto nulla. L'ho voluto attaccare. Mi ha portato fortuna».

 

ubaldo righetti bruno conti

Ce l'ha ancora?

«Sono sincero, magari per i tanti traslochi, non me lo trovo più».

 

E Bearzot era scaramantico?

«No, scaramantico mai, mai visto qualcosa di particolare. Prima di partire c'erano ben altre cose da pensare, ad esempio le polemiche sulla convocazione di Paolo Rossi. Non era mai sereno».

 

Al «Vecio» giocavate qualche scherzo

«Sì, come quando io e Ciccio Graziani l'abbiamo buttato in piscina dopo la partita col Brasile».

 

Sì arrabbiò?

 «No, tale era l'euforia. Lo facemmo mentre Bearzot passeggiava a bordo piscina. Non sapeva nuotare, lui in tuta con il suo borsello, ci siamo buttati in dieci, c'è stata una risata incredibile. Il nostro papà».

 

Bearzot fumava la pipa. Lei un pacchetto di sigarette al giorno. Problemi zero?

«Io sono nel settore giovanile, magari non è nemmeno bello dirlo. Ma proprio è la mia vita Fumo fin da ragazzino, vendevano le sigarette a 20 lire l'una, quelle sciolte, poi mio padre, quando rientravo la sera, mi sentiva l'alito e prendevo le caramelle di menta Bearzot sapeva che qualcuno di noi fumava, Causio, Dino Zoff Ma non ci rimproverava, gli interessava il nostro rendimento in campo».

 

Ha smesso?

«Adesso fumo la sigaretta elettronica».

 

maradona bruno conti

Tra voi azzurri, parlavate delle vostre vite private?

 «Se oggi racconto la nostra vita nel calcio ci prendono per patetici Si parlava tantissimo tra noi, di problemi, di famiglia, di situazioni, non ci sono più queste cose. Oggi, con questi social e telefonini, non c'è più dialogo».

 

Il pranzo al Quirinale voluto da Pertini fu una festa.

«Persona alla mano, stupenda. Al Quirinale 5-6 bicchieri per ciascuno. Bevevi un sorsetto e c'era subito un cameriere dietro che versava. Allora Pertini disse: "Non voglio più nessuno, facciamo tutto noi"».

 

Al Santiago Bernabeu, in Italia-Germania, pensava a suo padre e sua madre che la stavano guardando in tv?

«Sì. Tutto quello che ho fatto è nel pensiero di mio padre e mia madre, anche adesso che non ci sono più. Quando mi presero alla Roma, feci di mio padre Andrea l'uomo più felice del mondo. Era romanista».

maradona bruno conti

 

Crucci per aver sbagliato il rigore nella finale di Coppa dei Campioni del 30 maggio 1984 Roma-Liverpool?

«Lo sbagliammo io e Ciccio Graziani. Dopo quella finale però vincemmo subito la coppa Italia. Sono venuto a sapere che mai nessuno ha vinto per tre anni consecutivi un mondiale, uno scudetto e una Coppa dei campioni».

 

Con Ottavio Bianchi, nuovo allenatore della Roma, un rapporto infelice. Gli tirò una pallonata.

 «Sì, fu un po' una reazione, non c'era un minimo di considerazione nei miei confronti, ma non perché ero campione del mondo, stavo bene fisicamente. Situazione non bella».

 

Vuol dedicare un pubblico pensiero a sua moglie Laura?

«Il merito è tutto suo. Ha cresciuto i nostri figli, non è voluta mai apparire, alle cene di squadra mai venuta perché diceva "il personaggio sei tu". E adesso, quello che ha fatto coi figli, lo fa coi nipoti».

 

E ad Agostino Di Bartolomei, che purtroppo volò via in quel modo?

pierino prati bruno conti

«Mi ha inserito in questo mondo, fu il primo ad accogliermi alla Roma. Ad Agostino devo tanto, tutto».

 

Pensa di riabbracciarlo nell'aldilà?

«Penso di riabbracciare tutti, Di Bartolomei, Bearzot, Paolo Rossi, Scirea, potremmo davvero tornare indietro nel tempo, sì, per com' era il rapporto e per come siamo fatti noi».

 

E un ricordo per sua mamma, Secondina, e per le sue fettuccine?

«Quelle fettuccine, il sabato e la domenica, erano uno spettacolo. Fatte in casa. Se mio padre diceva che alle 20 si cenava, nessuno doveva mancare. Vorrei che questi valori famigliari tornassero».

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