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La sentenza del Tribunale di Milano che stamattina ha dato una stangata a Mediapro ha rimesso nel cassetto pure i sogni di gloria di Urbanetto Cairo: Sky torna in prima fila nella lotta per i diritti tv del calcio italiano e il “Berlusconi 2.0” si ritrova al punto di partenza.
Sognava di essere lui a trasmettere le partite che si era aggiudicato il gruppo ispano-cinese, piazzando le sue pubblicità e sfruttando i ‘mux’, le frequenze da lui controllate. Ma i suoi grandi sogni si scontrano con il suo piccolo impero: il Torino non è il Milan che fu, La7 non è Mediaset e la Cairo Editore non è Mondadori.
Persino un gigante come Silvio (o meglio, Piersilvio) si è bruciato coi diritti sul calcio, tanto da costringerlo alla prematura sepoltura di Premium, inghiottita dal buco della Champions League, e Cairo non aveva le spalle abbastanza larghe per affrontare una simile sfida. Oltre a combattere con i rivali del settore audiovisivo, avrebbe dovuto domare il folle mondo dei presidenti di club e delle leghe calcistiche, un ginepraio che non riesce manco a eleggere un presidente, figuriamoci se decide di consegnarsi mani e piedi a un colosso cinese e all’editore torinese.
Anzi, i presidenti di serie A si sono messi di traverso pure al duo Malagò-Miccichè, legato a Cairo, e non lasceranno che il Coni si prenda il calcio italiano, da sempre considerato un settore troppo grande e potente per finire sotto lo schiaffo delle federazioni sportive. La guerra del calcio è appena (ri)iniziata.
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