DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Florenzi, nel suo stadio, migliore in campo e più che mai spiritato fuoriclasse enciclopedico, salva il primo posto della sua Italia e lo applaude persino Lotito. Suo anche il 2 a 1, gol regolarissimo, ma l’arbitro gli ammazza l’apoteosi. Non si deprime il ragazzo di Vitinia, che ha il demonio dentro, riparte a destra e serve palla al bacio all’ottimo Pellè, nel tripudio anche trapattoniano, il cui rauco fanciullino sibila: “Sì!”, “Bello!”.
Azzurri energici e belli sul vento ciclonico di Florenzi. Le certezze non mancano a questa squadra. I quattro juventini dietro, Verratti in mezzo (Montolivo è un compassato tanguero, troppo al di sotto della qualità-ritmo del “parigino”), Darmian e Florenzi esterni e Pellè davanti, uno che ha fatto della sua elle di troppo non un refuso ma il tratto distintivo di un attaccante che ha proprio tutto per dirsi titolare inamovibile.
Sempre nel cuore delle cose che accadono in area. La cattiva notizia è che non saremo tra le sei teste di serie in Francia, per via della vittoria del Belgio.
Superata la voglia di smorzare tutto dopo cinque secondi per via di quel centinaio di scimmioni che aspirano dal marcio dei loro polmoni quanto basta per fischiare l’inno dei civilissimi norvegesi, eccoci una volta di più “pronti alla morte” in quanto l’Italia chiamò. Olimpico della serie vuoto spento sotto una pioggerella penetrante. Deserto.
E nemmeno l’alibi di una Sud che sciopera. Il Trap non canta e non fischia, struggente per quanto cerca di racimolare in fin di voce dal suo ostello senile qualcosa d’intelligibile che sia al passo col tonante ragazzo che gli sta al fianco. I nipotini di Amundsen devono vincere per la certezza di volare a Parigi, ai ragazzi di Conte basta il pareggio, ma non gli basta e in questo sono molto contiani.
La Norvegia ci fredda nel primo tempo col suo nero, Tettey, vichingo ghanese, ovunque nel far male a Buffon ma anche nel proteggere il suo di portiere, ma prima e dopo è solo Italia.
Che sparerà le sue fondate cartucce a giugno, anche se Conte deve aver contato fino a cento per non spedire nel luogo più buio del mondo quel Tavecchio e il suo recente, grottesco proclama: “Arrivare in semifinale è il minimo per noi”.
Morale. Se Conte aveva ancora un dubbio se restare federale o meno dopo giugno, ora non ha più nemmeno quello.
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