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CALCIO DOTTO - OCCHIO AL NAPOLI DI SARRI. LAZIO COLABRODO - SI RIVEDE UN POGBA DEGNO DI SÉ - ROMA DISPERANTE, CHE HA BISOGNO DEL TRECENTESIMO GOL FASULLO DEL SUO MONUMENTO PER RESTARE IN PARTITA CONTRO UN SASSUOLO CHE LA FA A FETTE OGNI VOLTA CHE RIPARTE

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Giancarlo Dotto per Dagospia

 

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La cosa più comprensibile del calcio è la sua incomprensibilità. L’Inter si rifà chirurgicamente da cima a fondo e, nemmeno, un mese, è già squadra vera, un organismo killer. Quattro partite, quattro vittorie, tutte con il minimo vantaggio, dodici punti e potevano essere quattro o sei. E uno come Icardi davanti, per di più superominizzato (non ce n’era francamente bisogno) dalla fascia di capitano, che in ogni istante può fare strike.

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Mancini ha spillato dalle tasche del suo Babbone indonesiano dollari bastanti per mettere su l’ipotesi di uno squadrone. Il Milan prende Mihajlovic per essere finalmente squadra dopo le astenie di Pippo Inzaghi e sta in piedi solo per le imprese dei suoi due cecchini, Bacca su tutti. Occhio al Napoli di Sarri. Maradona che, da opinionista calcistico non ne becca una, lo ha miracolato. I primi quarantacinque minuti al San Paolo sono la cosa più bella di queste prime quattro giornate di campionato. La prima mezz’ora della ripresa, il secondo più bello.

 

Dieci gol tra giovedì sera e oggi. E’ bastato un inquartato Pipita Higuain, combinato a un maniaco Insigne e a un irrompente Allan per fare a pezzi una Lazio colabrodo. Squadra che può esistere senza Biglia, ma non esiste senza Candreva. Felipe Anderson? Mistero che fa male.

 

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Copertina nel pomeriggio per il Torino del bum bum Quagliarella. Giuro, finirà tra le prime cinque, salvo ecatombe. La Juventus e i suoi primi tre punti danno continuità all’impresa di Manchester, ma attenzione, sullo 0 a 0 e Genoa in undici, il match era un bilico tutto da giocare. La buona notizia: si è rivisto un Pogba degno di sè. Quella cattiva: acciacchi da valutare per Morata e Mandzukic.

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Roma disperante, che ha bisogno del trecentesimo gol fasullo del suo monumento per restare in partita contro un Sassuolo che la fa a fette ogni volta che riparte. La Roma di sempre, intesa nel senso più esteso del termine, allergica a se stessa, a cominciare dalla grottesca protesta di parte della Sud, la tanto celebrata curva, che confessa finalmente al mondo quanto già sapevamo in parecchi: il conclamato amore per il giallorosso è solo il pretesto di una egoica battaglia identitaria che ha, forse, meritato un passato, ma certo non ha un presente, tantomeno un futuro.

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Rudi Garcia cade nella trappola di quello che è il suo pregio ma anche il suo lato vulnerabile, l’ottimismo della ragione. Eccede nel turn over. Maicon a destra e Torosidis a sinistra imbolsiscono le due catene. La rinuncia a Dzeko è impietosamente illustrata dal vorrei ma non posso del Totti che, incassato l’ennesimo record, forse il più prestigioso, può meglio rassegnarsi a ciò che la biologia gli impone. Per non dire di Florenzi. Stratosfere a parte.

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C’è una Roma con lui e una senza di lui. Risultano drasticamente non risolti due problemi fondamentali, un centrocampista di qualità e un centrale difensivo attendibile. Quel Rudiger sembra davvero scarso, sempre sul punto di aggrovigliarsi su se stesso come se un maldestro e anche un po’ sbronzo falegname lo avesse montato con due gambe destre.

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Aggiungi, anzi togli, un Nainggolan sempre fuori dal gioco, il peggiore della storia romanista. La buona notizia? Un Salah in crescita assoluta. Come lo scarsissimo Massa e il suo disassistente possano non vedere il rigore alla fine su Rudiger è spiegabile in un modo solo. La coscienza macchiata. Qualcuno all’intervallo deve averli informati dello sfondone sul gol di Totti.