DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Daniele Sparisci per il Corriere della Sera
Sarà anche sgonfio e litigioso ma il calcio italiano pompa ogni anno miliardi nelle casse dello Stato. La pandemia di coronavirus oltre ad aver bloccato le partite rallenterà anche il gettito fiscale nei prossimi mesi. Dall' altra parte gli effetti sui conti delle società in crisi di entrate e alle prese con costi fissi vertiginosi si stanno già facendo sentire.
Qualche esempio aiuta a capire, lo stipendio (pre-taglio) di Cristiano Ronaldo, il più pagato del nostro campionato e fra i più ricchi del mondo: 31 milioni di euro netti a stagione, ma la cifra lorda è 54. CR7 è un marchio globale, ripaga in gol e popolarità ma la Juve deve comunque aggiungere 23 milioni fra imposte e previdenza. L' Inter ne deve mettere 6,3 alla busta paga di Lukaku per arrivare a 7,5 puliti, gli stessi di Higuain.
Poco meno di Dybala, per il quale i bianconeri sborsano 12,8 milioni lordi. Il Milan ne deve dare 4,5 per raggiungere i 6 del contratto di Donnarumma. La Samp un milione per quello del bomber Quagliarella (1,2), la Roma 4,2 per i 5 di Dzeko.
Poi ci sono altri numeri che fotografano la situazione: nell' ultima stagione il valore economico del calcio è stato di 3,5 miliardi, pari allo 0,2% del Pil. Il trend è in crescita da un pezzo così come lo sono i costi. Per questo, ma anche per molti altri motivi, negli ultimi cinque anni il sistema ha accumulato perdite per 1,6 miliardi. Un settore tanto affascinante quanto rischioso, dove gli utili li fa chi ha le strutture più solide ma anche chi è più accorto e bravo nella gestione.
Per ripianare il rosso i presidenti hanno sistematicamente messo mani ai portafogli. Debiti e ricapitalizzazioni sono la regola, l' ultima in ordine di tempo a dover intervenire è la Roma: il Covid-19, oltre ad aver aumentato il passivo ha anche congelato la trattativa per la cessione al miliardario americano Dan Friedkin.
Ma la serie A è solo la punta di un iceberg, costituito alla base da fallimenti a ripetizione in B e C. Al di là di gestioni avventurose, errori, business plan sballati, stadi vecchi e non di proprietà, le società italiane affrontano un Everest fiscale. Fra tributi e previdenza ogni anno versano allo Stato circa 1,2 miliardi di euro. E come sottolineano i report della Lega A e della Figc nell' ultima decade il prelievo è cresciuto del 37%: significa che il calcio è il primo contribuente nel settore dell' intrattenimento, che include spettacoli e cultura.
Con una differenza fondamentale però rispetto alle altre industrie: il costo del lavoro altissimo (rappresenta in media il 51% del fatturato) legato non solo alle buste paga, pesantissime, dei campioni, ma anche alla tipicità dei contratti. In un mondo dove il «tempo indeterminato» non può esistere per chi è ovviamente legato a risultati, plusvalenze, infortuni, la deducibilità del costo del lavoro non si applica. Ed è questa una delle misure che secondo gli esperti potrebbe andare in aiuto della Confindustria del pallone per mitigare i danni causati dal prolungato stop.
Niente aiuti diretti o ad «hoc», ma entrare in un terreno di parità con gli altri settori sul costo del lavoro.
«Le società di calcio sono particolarmente penalizzate dal regime fiscale sul costo del lavoro che è deducibile ai fini Irap solo se il contratto è a tempo indeterminato» spiega Guglielmo Maisto, fondatore dello studio fiscale Maisto e Associati. «La disciplina in materia di professionismo sportivo, integrata dalle norme federali, impone che i contratti con i calciatori debbano essere a tempo determinato, con gli ingaggi che pesano notevolmente sui bilanci dei club. Quindi le società, che molto spesso sono in perdita, si trovano a dover dichiarare un utile ai fini Irap non potendo dedurre gli ingenti costi del lavoro, come invece è possibile per chi impiega dipendenti con contratti a tempo indeterminato. Se si volesse intervenire bisognerebbe allargare le maglie della deducibilità, a prescindere dalla durata dei contratti» conclude Maisto.
Nella top 10 dei calciatori più pagati d' Italia ben sette su dieci sono della Juventus. Fra questi De Ligt, Rabiot e Ramsey fanno risparmiare qualcosa al club bianconero avendo beneficiato degli sgravi applicati ai «lavoratori impatriati».
Ma in tempi così anche i più ricchi dovranno adeguarsi. In casa Juve, nei primi sei mesi della stagione 2019-20, il costo dei tesserati è cresciuto del 21% su base annua, a 173,3 milioni.
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