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AVVISATE SALVINI: IL CALCIO ITALIANO NON VA MALE A CAUSA DEI TROPPI STRANIERI – IN SERIE A SONO IL 54,5%, IN LINEA COL RESTO D’EUROPA - PER IL MANAGER DELL INTER, WALTER SABATINI, “DAR LA COLPA AGLI STRANIERI È COME DIRE ‘PIOVE, GOVERNO LADRO” UN ALIBI - “I NOSTRI GIOVANI NELLE BIG SONO COMPRIMARI”
Matteo Pinci per la Repubblica
QUATTRO mesi prima che l' Italia vincesse il suo ultimo mondiale, la sfida scudetto in serie A tra Juve e Milan mandava in campo 15 stranieri su 22. La prova che la tesi per cui il male del calcio italiano sono i troppi stranieri in serie A, è soprattutto demagogia.
Lo conferma il confronto con gli altri tornei: la ricchissima Premier inglese e la Germania campione del Mondo, fanno giocare percentuali più alte di calciatori non eleggibili per le rispettive nazionali: il 67 e il 56%. In Italia "solo" il 54,5% dei 460 atleti scesi in campo non sono italiani: perfettamente in media con i principali 5 tornei del continente.
italia svezia la nazionale fuori dal mondiale 9
Così fan tutti: anche quelli che vincono. Per il manager dell' Inter, Walter Sabatini, «dar la colpa agli stranieri è come dire "piove, governo ladro"». Un alibi. «E i nostri giovani nelle big son comprimari».
Al di là della sentenza Bosman, l' aumento degli stranieri è la conseguenza della forbice che si è aperta tra i campionati d' élite e gli altri tornei. Una squadra ricca può trattenere il giocatore di talento, e per cederlo chiede cifre altissime. Un ragazzo di proprietà di una squadra croata, polacca, olandese, con meno risorse economiche, ha ovviamente costi ridotti.
italia svezia la nazionale fuori dal mondiale 8
E l' Italia, che poteva permettersi Ronaldo dal Barça, oggi è una tappa di passaggio. Tutti vivono di plusvalenze: comprare a poco, rivendere a cifre doppie o triple. La scoperta di tanti giovani africani - più prestanti sul piano fisico già a 20 anni - è da leggere in questo senso. «In Italia negli ultimi anni è stato più semplice prendere un giocatore in evoluzione ma che ancora non aveva espresso il proprio potenziale, aiutarlo a crescere tatticamente anche perché abbiamo la migliore scuola di allenatori al mondo, e poi rivenderlo realizzando una plusvalenza», spiega Filippo Fusco, ds del Verona.
Discorso che vale pure per qualche talento che nelle grandissime squadre faticava: Icardi, Keita Balde, Morata erano con sfumature diverse rappresentanti della categoria. «Ma non sempre all' estero i talenti costano meno - ricorda Giovanni Branchini, tra gli agenti più influenti sul mercato italiano - ci si muove sull' estero spesso perché c' è meno concorrenza e speri di fare il colpo con poco. Ma il miglior giocatore di un settore giovanile costa come un campione affermato. Vedi Gerson della Roma. Ma chi gioca ripaga la spesa. Il giocatore che non vale è quello che non gioca mai, perché pure se lo paghi poco rappresenta solo un costo».
Una volta, a favorire l' arrivo dall' estero era anche il rapporto tra società e agenti. Lo ricorda il ds dell' Atalanta, Giovanni Sartori: «L' agente ha interesse economico a fare la mediazione e più facilmente ti propone il calciatore con cui può farla. In Italia il procuratore non poteva fare anche il mediatore e quindi l' interesse era fare affari con l' estero». Dal 2015, dopo la liberalizzazione delle licenze, la questione conta meno. Non quella della qualità: «Il vero equivoco - sostiene l' agente Diego Tavano, specializzato nel mercato dei giovani talenti - è che si sottovaluta il problema della formazione. Nei settori giovanili del nostro Paese si lavora più sulla tattica che sulla tecnica. Le qualità che non abbiamo, così, dobbiamo acquistarle altrove».
In Spagna ad esempio, dove fin da bambini vale la regola "un niño, una pelota", un pallone per bambino, per allenare la tecnica: «Il modello su cui puntare», per Fusco, «è quello tedesco e spagnolo: cultura multietnica, si investe sui settori giovanili, sulle strutture e c' è la possibilità di confrontarsi da giovanissimi in campionati professionistici grazie alle seconde squadre». In Italia, le squadre B, restano un bell' argomento per cui litigare.
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