DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Stefano Agresti per il Corriere della Sera
La partitella è tra verdi e blu, tre contro tre. Ce n' è una per ogni turno di allenamento: al mattino, al pomeriggio. I calciatori della Lazio le giocano nel piccolo stadio dedicato a Mirko Fersini, il ragazzo della Primavera che otto anni fa ha perso la vita in un incidente con la moto; il minicampo è disegnato vicino alla linea laterale, proprio a ridosso di via della Selvotta, la strada di campagna che costeggia il centro sportivo del club biancoceleste. Siamo poco fuori Formello, a una ventina di chilometri da Roma.
Sono le undici e venti quando Simone Inzaghi, con il volto coperto dalla mascherina, dà il via alla parte più intensa dell' allenamento. In precedenza i sei giocatori del turno del mattino hanno fatto stretching, a distanza di sicurezza uno dall' altro; poi si sono confrontati in una sfida che premia chi colpisce di più la traversa (ha vinto Marusic).
Quindi, la partitella, vietata dalle norme attuali. Ma utile a far aumentare i ritmi del lavoro: sono periodi brevi (quattro o cinque minuti l' uno) con regole sempre differenti. Si finisce, dice l' allenatore, con un «tre tocchi e gol di prima».
Da qualche giorno, per cercare di proteggere l' attività da sguardi indiscreti, è stata aggiunta un' ulteriore rete verde a protezione del campo Fersini, ma serve fino a un certo punto: tra le piante, agli osservatori è tutto evidente.
Inzaghi carica, grida, scherza. Il clima è piuttosto allegro, del resto la Lazio ha grande voglia di rituffarsi nel campionato per inseguire lo scudetto e non lo nasconde.
La partita aumenta di velocità. «Guarda che c' è Caicedo alto», chiama il tecnico, e poi rilanciando a Milinkovic-Savic la palla appena uscita dal campetto: «Eccola Sergio». A un certo punto il risultato è in bilico, «siamo tre a tre», e allora l' agonismo rischia di prevalere: «Non vi fate male, piano», l' avvertimento ripetuto più volte. Solo il giovane portoghese Jorge Silva non lo soddisfa, Inzaghi la butta sul ridere: «Ma dove sei stato ieri sera?».
Non cambia nulla quando entra in campo il turno del primo pomeriggio, a parte i giocatori ovviamente e il vento che si è alzato e un po' infastidisce: stretching, tiri contro la traversa e mezz' ora di partitella, dalle 15.40 in poi.
Stavolta a dirigerla ci sono i collaboratori di Inzaghi, c' è Parolo che grida e Immobile che impreca perché non vuole proprio perdere: «Questo è gol, dai». Ma alla fine il capocannoniere del campionato si deve arrendere: «Che fortuna (eufemismo, ndr ) che c' avete oh...». In attesa del 18 maggio e della ripresa degli allenamenti collettivi, la Lazio si è portata avanti con il lavoro.
Ma non è l' unica squadra che ha cominciato a intensificare i ritmi arrivando fino a questo punto, garantisce qualche malalingua. Di certo la società biancoceleste si sente al sicuro dal punto di vista delle precauzioni a tutela dei calciatori, tanto che il responsabile sanitario del club, Ivo Pulcini, ha spiegato: «Il nostro centro sportivo è sanificato, ai calciatori vengono rilevati tutti i dati: temperatura, frequenza cardiaca, ossimetria. Se superano il cancello non significa che sono sani, ma che sono perfetti. Teoricamente potrebbero anche allenarsi in maniera collettiva».
Qualcuno lo ha preso troppo alla lettera.
Il centro sportivo della Lazio è stato appena rinnovato e modernizzato, con grande attenzione proprio alle norme igieniche e sanitarie soprattutto dopo la diffusione del coronavirus. Ma le indicazioni che il Comitato tecnico scientifico ha trasmesso alla Federcalcio, e che quest' ultima ha recepito, hanno sollevato molti dubbi nel medico biancoceleste, il quale ha usato parole durissime: «È ridicolo quanto sostiene il Cts.
Come si può affermare che, se un giocatore o un membro del gruppo è positivo, tutta la squadra debba andare in quarantena? Perché devo considerare malato anche chi non lo è? In questo caso sono pronto a prendermi la responsabilità, io tutti in quarantena non li metto. Non ha senso trattare come positivo un calciatore che è negativo.
Così il campionato non riparte».
E sono dubbi che appartengono a molti medici dei club di serie A.
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