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Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
È certamente una giornata storica per il calcio italiano. Sky ha perso l’esclusiva dei diritti tv della Serie A. Un colpo quasi ferale per un’emittente che in Italia ha fatto del calcio il proprio core business. La Serie A se l’è aggiudicata Dazn che è sbarcata da noi tre stagioni fa, con un esordio non proprio felice dal punto di vista tecnologico. E che adesso, alla quarta stagione, avrà sulle spalle la responsabilità di trasmettere in esclusiva ogni giornata sette partite su dieci. Più altre tre in co-esclusiva. 840 milioni a stagione, per tre stagioni. Una cifra totale di due miliardi e mezzo di euro.
Sono tanti gli aspetti che andrebbero sviscerati. A noi preme concentrarci soprattutto su uno di essi: la sconfitta di Sky. Che a nostro avviso è fondamentalmente figlio di una strategia aziendale di lungo corso. È l’ennesima tappa di un progetto di ridimensionamento che parte da lontano e che ha accelerato nel 2018 col passaggio di proprietà da Murdoch agli statunitensi di ComCast leader tra gli operatori via cavo negli Stati Uniti.
Come avviene in ogni azienda, di qualsiasi dimensione essa sia, la prima cosa che si fa, ancor prima dell’acquisizione, è guardarne i conti. Il colosso statunitense ha approfondito quelli dell’ex gruppo di Murdoch e ha avviato un piano che possiamo definire di ridimensionamento o se volete di ridefinizione del target. L’investimento nel calcio non ha dato i frutti sperati. E spiegheremo il perché.
È importante però ricordare che l’avventura di Sky Italia è nata subito fortemente menomata. Fondata nel 2003, venne poi acquisita da Murdoch nel 2006. Furono effettuati investimenti molto importanti a livello strutturale e anche a livello giornalistico, soprattutto per la parte calcistica, si è lavorato molto alla costruzione di un polo che potesse diventare trainante nell’informazione italiana. E in realtà così è stato.
Il primo duro colpo alla strategia di crescita di Sky è arrivato nel 2008 con la grande crisi internazionale nata dai mutui subprime. La crisi che, per capirci, negli Stati Uniti spazzò via Lehman Brothers. Col senno di poi, fu quello l’inciampo che ha poi determinato quel che è accaduto nel successivo decennio fino a i nostri giorni. Basti ricordare che nel corso del tempo, Sky Italia ha lasciato le sedi di Roma e ha trasferito le proprie redazioni, fatti salvi i corrispondenti, a Milano. Un progressivo arretramento.
A fronte di investimenti importanti, gli abbonati a Sky Italia non hanno mai sfondato – se non per un paio di mesi nel 2008 – quota cinque milioni. Il progetto, che puntava a conquistare nuove fette di mercato, è rimasto invece confinato in una porzione che non possiamo definire nicchia ma nemmeno popolare. Per capirci, è rimasta una grandezza imparagonabile a quella della Rai o di Mediaset. E che, soprattutto, non è riuscita più a espandersi. Anche se, come detto ad esempio per il Mondiale del 2006, Sky Sport è stata in grado di affermarsi come punto di riferimento dell’informazione calcistica italiana. Di orientare il pensiero. Come si usa dire in comunicazione politica, di dettare l’agenda.
Anche perché la struttura giornalistica si è nel corso degli anni avvalsa di giornalisti molto preparati e soprattutto di opinionisti autorevoli. Non ha lesinato sulla fama degli ex calciatori che oggi ricoprono il ruolo di cosiddetta seconda voce. È indubbio che il parterre in studio di Sky Calcio sia robusto ed è altrettanto naturale che la preparazione e la capacità di influenzare abbiano un costo. Senza dimenticare lo sforzo profuso, ad esempio con la presenza di due bordocampisti, per offrire all’abbonato un servizio il più esaustivo possibile.
Costi che, però – senza dimenticare l’emergenza pirateria – non hanno portato, dal punto di vista contabile, lo stesso successo ottenuto dal punto di vista giornalistico. Se rispetto alla Rai, Sky Sport resta ancora oggi una struttura agile, non si può dire altrettanto rispetto a nuove realtà che recentemente si sono affacciate sul mercato. La struttura ha costi che non può più consentirsi, figlie di scelte aziendali passate improntate al gigantismo. Costi che non sono però riusciti a garantire un ritorno adeguato. E che hanno, con ogni probabilità, indotto i vertici di ComCast a una sconfitta che non è stata vissuta come un fulmine a ciel sereno. È figlia di una scelta strategica dei vertici.
Tanto per rendere l’idea, non è paragonabile l’audience della più seguita partita su Sky con un banale ottavo di finale di Coppa Italia sulla Rai.
ComCast ha messo in preventivo di perdere una fetta di abbonati, magari tra il milione e il milione e mezzo di abbonati a Sky Calcio. Ma ha ancora la Champions, ha la Premier League, ha la Bundesliga, oltre al tennis, il basket, lo sci, il golf. Resta un punto di riferimento per qualsiasi appassionato di sport, di calcio ma non solo.
Come detto all’inizio, cambia il target. Non si punta più all’abbonato che vuole guardare la Serie A, ma all’appassionato in grado di sostenere il doppio abbonamento: uno per il campionato e uno per la Champions, il calcio internazionale e il resto. Viene abbandonato colui il quale è interessato esclusivamente al calcio italiano: identikit che corrisponderà alla figura di chi, grazie a Dazn, potrà spendere decisamente di meno per guardare la propria squadra del cuore e lo farà scaricando una app.
A ComCast avranno fatto i loro conti. Risparmiano due miliardi e mezzo in tre anni, e risparmiano una montagna di costi perché giocoforza la struttura giornalistica sarà ridimensionata senza il campionato italiano in esclusiva. È quel che i vertici di ComCast hanno studiato in questi anni. Vertici che hanno ovviamente messo in preventivo anche l’addio a una fetta di abbonati quantificabile tra il milione e il milione e mezzo.
Poi si vedrà quel che avverrà, se ci sarà un accordo con Dazn per la trasmissione sul satellite. Ma la sconfitta di Sky è figlia di una precisa strategia. La Serie A non porta benefici all’altezza dei costi. È probabilmente anche la fine di un’egemonia politico-giornalistica, almeno per quel che riguarda il calcio italiano, ma di certo questo non è un tema che ha preoccupato più di tanto gli uomini chiamati a decidere nelle stanze che contano di ComCast.
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