DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Maurizio Crosetti per la Repubblica-Estratti
La profonda solitudine del ciclista è qualcosa negli occhi, indecifrabile. L’aveva anche Fausto Coppi, e l’aveva Pantani. Marco Pantani, che morì nel giorno di San Valentino di vent’anni fa. Quel giorno, Gianni Bugno di anni ne compiva quaranta. È stato un campione magnifico e dolente, un vincitore senza sorriso. Ha avuto molte vite, in bicicletta e pilotando elicotteri. Tante cose sono cambiate dentro il suo tempo, non lo sguardo.
Bugno, cosa ricorda di quel terribile 14 febbraio 2004?
“Ero a tavola, stavamo brindando e mi chiamarono i giornalisti per dirmi di Marco. Da quel giorno, ogni mio compleanno contiene anche lui e un po’ lo riguarda. Dieci anni dopo, il 14 febbraio 2014, morì mio padre. La butto sul ridere: tra poco ne compio sessanta, spero stiano tutti bene”.
Pantani venne abbandonato?
“Non dai compagni, non dal ciclismo. Lui si isolava, era come se scivolasse via. Ogni uomo ha scritto dentro il suo destino. Marco Pantani ha fatto la storia del ciclismo e ci ha lasciati troppo presto, ma non è certo morto di sport. La sua prima tappa, la vinse davanti a me”.
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Lei ha vinto due mondiali, il Giro, il Fiandre, la Sanremo. Che tipo di corridore pensa di essere stato?
Completo, forte sulla resistenza. Inferiore rispetto agli specialisti, però mi arrangiavo”.
Si arrangiava? Guardi che lei ha segnato un’epoca.
“Non capisco perché la gente continui a volermi così bene, io non credo di essere stato niente di speciale, anche se il pubblico l’ho sempre rispettato. Ho vinto, sì, ma ho anche perso parecchio.
Il Giro delle Fiandre mi stava sfuggendo perché alzai le mani troppo presto, e lo stesso uno dei due mondiali. Che fesso. Diciamo che ho corso in un’epoca in cui si poteva vincere in quindici, le grandi corse, intendo. Adesso le vincono soltanto in sei: se ci sono loro, meglio lasciar perdere”.
Torniamo per un momento a lei: è vero che, da ragazzino, quando vinceva una corsa non portava i fiori a casa?
“Sì, li buttavo via. Mi sembrava una cosa esagerata. Mettevo da parte anche le coppe”.
È vero anche che non riesce a guardare le sue immagini?
“Sì, mi fanno stare male. Dovrebbero farmi contento e invece no. Intanto, detesto la mia voce. E mi imbarazza tutto il resto. Non leggo le interviste. La ribalta non mi piace, e invecchiando sono pure peggiorato”.
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Qualcuno ha scritto che lei è incline alla depressione: è vero?
“No, per niente. Sono fatto anche di ombre, come tutti, ma non sono mai stato depresso”.
gianni bugno moser pantani romiti
Perché un giorno diventò pilota di elicotteri?
“Il mio sogno di bambino erano gli aerei, non i campioni dello sport. Avrei voluto pilotare le Frecce Tricolori, e quando ho incontrato il famoso comandante Gigi Fiore, a Codroipo, è stato come toccare un mito. Una cosa che mi piaceva, quando correvo in bici, era alzare gli occhi e guardare l’elicottero. Così mi sono messo a studiare e ho preso il brevetto”.
Per molti anni, lei ha pilotato proprio quell’elicottero della Rai.
“Mi sono sentito ancora in gruppo, è stato bello. Ed è stato bello portare le immagini del ciclismo nelle case della gente, insieme all’amico operatore Giorgio Viana”.
Cos’è, volare?
“Soddisfazione, leggerezza. È libertà”.
Poi lei ha avuto un piccolo malore, e non ha potuto più decollare: com’è andata?
“È stato durante il Covid. Una cosa da nulla, ma giustamente le regole dell’Enac per i piloti sono severissime. Ora vediamo se mi daranno di nuovo la licenza, altrimenti pazienza, sarà come per la bicicletta, addio senza dolore e senza rimpianti. Nell’attesa, mi occupo di consulenze aeronautiche e certificazioni. Va bene così”.
Le piace il ciclismo di oggi?
“I campioni hanno un motore diverso dal nostro, sono preparati al millesimo. I sei fuoriclasse di questa epoca, dove il migliore secondo me è Pogacar, creano l’evento con la loro stessa presenza, altrimenti è un piattume. La figura dell’outsider è scomparsa”.
Noi però abbiamo Ganna.
“Vogliono trasformarlo in corridore da classiche, ma penso sia un errore: così rischiamo di perderlo anche come cronoman, dove lui è fantastico. Non va snaturato. Certo, una Roubaix potrebbe anche vincerla, ma se invece cade e si fa male? Se compromette una stagione dove può vincere le Olimpiadi? Lui non possiede certe malizie dello stradista, specialmente in discesa. Alcuni vengono dal ciclocross, sono mezzi acrobati, più scaltri di Filippo”.
Perché il ciclismo italiano fatica tanto?
“Manca un campione per le gare a tappe e per le classiche. Siamo forti in pista, con le donne, nel cross. E ci sono pochi sponsor, l’attività internazionale costa troppo. Ci vorrebbe un leader in grado di trainare un po’ il sistema. Forse bisognerà cercarlo nelle scuole, tra i ragazzini, anche se andare in bicicletta sta diventando sempre più pericoloso e io li capisco, i genitori, se hanno paura”.
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Il momento più bizzarro della carriera?
“Quando feci una scommessa con l’autista della Nazionale, Giacomo Carminati, che ci portava al mondiale di Benidorm. Gli dissi: se vinco, mi fai guidare il pullman al ritorno? Avevo la patente giusta. Vinsi, e il giorno dopo mi misi al volante per centinaia di chilometri. Bellissimo”.
Lei è stato per dodici anni il rappresentante sindacale dei ciclisti: di cosa hanno bisogno?
“Di garanzie, tutela sanitaria e sicurezza. Un aspetto molto importante è il dopo carriera: in pochi ci arrivano preparati, per tutti gli altri è smarrimento. Ti svegli la mattina, e poi cosa fai?”.
Il doping è stato sconfitto?
“Sono stati fatti molti passi avanti, il problema è che la scienza del doping a volte sembrava correre più di quella dell’antidoping”.
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GIANNI BUGNOindurain bugno chiappucciBUGNO CHIAPPUCCI INDURAINindurain bugno chiappuccigianni bugno museeuw
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