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PUGNI DI RABBIA! IL CICCIONE RUIZ, IL TOSSICO FURY E LO SCALMANATO WILDER: LA BOXE È TORNATA IN MANO AI CATTIVI – DOPO AVER DEMOLITO JOSHUA, IL NEO-CAMPIONE DEI MASSIMI RUIZ HA RINGHIATO: “VOLEVO CHE GLI SCETTICI SI RICREDESSERO, TUTTI PENSAVANO CHE SAREI CADUTO ALLA TERZA RIPRESA E INVECE... SUL RING HA PARLATO IL MIO SANGUE MESSICANO” – SAVIANO LO CELEBRA COME “EROE ANTITRUMP”- IL TWEET DI FUSARO - VIDEO
Dal profilo Facebook di Roberto Saviano
Chi sabato notte ha seguito l'incontro di boxe al Madison Square Garden per il titolo mondiale dei pesi massimi ha assistito a una di quelle favole che solo lo sport può riservare, a una di quelle imprese che ribaltano tutti i pronostici della vigilia. Anthony Joshua, campione del mondo in carica, che mai aveva perso un incontro nella sua carriera, è stato messo al tappeto da un pugile di origini messicane semisconosciuto e fuori forma su cui nessuno avrebbe mai scommesso.
Chi ha alimentato la forza del pugno di Andy? Semplice, provate a immaginarvi 20 mila spettatori che hanno in testa un solo commento: «mexican fat shit», ciccione di merda messicano. Provate a immaginare di combattere in una nazione che sta portando avanti la lotta contro i messicani come il gran male, e provate a sommare questo nel braccio di Andy Ruiz Jr "il Distruttore". Trovata la risposta?
IL CICCIONE, IL TOSSICO, LO SCALMANATO
Gabriele Gambini per “la Verità”
Fantasmi politicamente scorretti si aggirano sul ring. Il gong annuncia il ritorno dei cattivi nella nobile arte. Lontano dai racconti celebrativi del romanziere F. X. Toole (a cui Clint Eastwood si è ispirato per il film Million dollar baby), o dall' immaginario dell' outsider eticamente puro alla Rocky Balboa, la boxe torna a essere terreno di gladiatori belluini e affamati.
Di quelli che alle lusinghe di chi vorrebbe annoverarli tra i ranghi dei «buoni», come comanda il vangelo del marketing sportivo, preferiscono l' odore della paura dell' avversario. Paura che di certo non ha avuto Andy Ruiz Jr., quando due giorni fa ha abbattuto il campione britannico Anthony Joshua per Ko tecnico alla settima ripresa al Madison Square Garden di New York, accaparrandosi in un sol boccone i titoli Ibf, Ibo, Wba e Wbo dei pesi massimi. È il primo iridato messicano dei massimi.
A vederlo, più che un atleta, il ventinovenne nato nell' Imperial Valley da genitori immigrati, sembra un cattivo dei film sui gangster alla Pablo Escobar: 188 centimetri per 112 chili, distribuiti con una consistenza adiposa foraggiata, dicono le malelingue, da ricchissimi pasti nei fast food.
Ruiz ha tempestato di colpi Joshua (che aveva un record di 22 vittorie, di cui 21 per Ko) il quale ha ceduto dopo essere finito al tappeto per quattro volte.
Dando dimostrazione pratica di una vecchia regola del pugilato: il vero campione è chi sa incassare meglio. «Volevo che gli scettici si ricredessero, tutti pensavano che sarei caduto alla terza ripresa e invece ho vinto.
Sul ring ha parlato il mio sangue messicano», ha commentato Ruiz, che deve ringraziare la sua formidabile ostinazione. Ha esordito tra i professionisti nel marzo 2009, a 20 anni da compiere (è nato l' 11 settembre del 1989), e da allora ha collezionato 32 vittorie (di cui 21 per Ko) e una sola sconfitta, per Ko tecnico, senza tuttavia incontrare avversari di particolare valore. I cronisti si sono affrettati nel rievocare un episodio del 1990: il signor nessuno Buster Douglas picchia a sorpresa Mike Tyson e pone fine al suo strapotere. In realtà, massa muscolare a parte, Ruiz è molto più simile a Tyson di quel che si possa pensare. Entrambi, pur con i dovuti distinguo di talento e fisicità, fanno parte della risma dei sottovalutati, che non fanno nulla per apparire simpatici o per assecondare facili cliché.
Pugili diversi rispetto agli eroi positivi come Evander Holyfield o Vitalij Klyko, impegnato politicamente nella sua Ucraina.
Pugili come Deontay Wilder, che nel dicembre 2018 ha incrociato i guantoni nella Wbc con Tyson Fury, ex campione Wba, Ibf, Ibo, Wbo, in un match terminato in parità.
Wilder ha una percentuale di Ko del 95.12%. Ha vinto il titolo Wbc dei massimi nel 2015. Soprannominato «The Bronze Bomber», nome affibbiatogli in memoria di Joe Louis (che era «The Brown Bomber»), alle Olimpiadi del 2008, da dilettante, ha subìto una sconfitta dal nostro Clemente Russo.
Ma quando è diventato professionista ha inanellato un record di 32 vittorie consecutive.
È un tizio agitato: il 4 maggio 2013 Wilder è stato arrestato a Las Vegas per violenza domestica nei confronti della moglie, accusa dalla quale è stato assolto. Riappacificatosi con la consorte, è tornato in tribunale pochi mesi più tardi, accusato di tentato strangolamento ai danni di Brian Kerwin e Jack Rodson, giornalisti della testata americana MyTime, presentatisi a casa sua per un' intervista concordata. Il pugile, tramite i suoi legali, si è giustificato sostenendo di aver agito istintivamente, condizionato dalla falsa impressione che dei ladri stessero entrando in casa. Un cattivo ragazzo, ma non troppo, in lizza per diventare uno dei massimi più competitivi del panorama contemporaneo. A pari merito col rivale Tyson Fury, colosso britannico di 206 cm per 116 chili.
Tyson, chiamato così proprio in onore di Iron Mike, è nato a Manchester 30 anni fa da genitori irlandesi di origini gitane.
La sua famiglia vanta una lunga storia nel mondo del pugilato. Il padre, conosciuto come John Gipsy Fury, è stato un pugile professionista degli anni '80, il cugino Andy Lee è un vecchio campione Wbo mediomassimi. Lui, dopo un veloce percorso da dilettante, il 28 novembre 2015 batte ai punti l' ucraino Volodymyr Klyko e si laurea campione del mondo per la prima volta in carriera.
Ma iniziano i guai. L' 8 dicembre l' Ibf ritira il titolo in seguito all' accordo tra Fury e Klyko per un rematch fissato il 9 luglio 2016. Secondo la federazione, l' inglese avrebbe dovuto affrontare il loro candidato numero uno, Vyacheslav Hlazkov. Il 24 giugno 2016 la rivincita con Klyko viene posticipata in seguito a un infortunio dello stesso Fury. Il 23 settembre il match viene ancora posticipato poiché Fury risulta positivo alla cocaina. Alcool e droga diventano compagni di viaggio, gli viene sospesa la licenza pugilistica. Inizia un percorso di disintossicazione che dura tre anni. Ritorna sul ring. Dice: «Se non fossi cristiano, mi ucciderei. Ero in balia della depressione, ho usato la droga credendo fosse un modo per combatterla e uscirne».
Si conquista il diritto a sfidare Wilder e a porre la sua candidatura per diventare il numero uno tra i massimi. Facendo spellare le mani ai suoi fan, pronti a celebrare le gesta di quel gigante umanamente imperfetto, ma dal pugno micidiale, e a difenderlo dall' accusa di omofobia guadagnata dopo la partecipazione a una trasmissione televisiva della britannica Bbc. Alla domanda su quali fossero tre fattori che avrebbero potuto determinare la fine del mondo, Fury, rispose: «Uno è la legalizzazione dell' omosessualità, un altro è l' aborto e l' ultimo è la pedofilia. Chi avrebbe mai pensato negli anni Cinquanta o Sessanta che i primi due sarebbero stati legalizzati?». Dichiarazioni che hanno fatto stracciare le vesti ai sostenitori del politicamente corretto. Perché questa è l' era dei pugili affamati, a volte grassi, di sicuro forti, che non smaniano per apparire buoni a tutti i costi.
ROBERTO SAVIANO
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