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Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
gentile festeggia il mondiale vinto
Quella di Claudio Gentile è una lunga storia di orgoglio e solitudine, prima nel cuore del gioco e poi quasi ai margini di tutto. L'uomo che fermò Maradona e Zico. Il marcatore spietato. L'allenatore vincente della Under 21 e poi più niente.
Com'è andata, Claudio?
«È andata che non accettavo pressioni per convocare in azzurro questo o quell'altro giocatore. Mi odiavano. Però sono sicuro di avere fatto bene, anche se ho pagato con gli interessi».
Cosa rappresentano per lei i 40 dal Mundial? Nella docu-serie di Sky Original "La partita", disponibile dal 3 luglio, a un certo punto si commuove di brutto.
«C'è ancora gente che ci ferma per strada e ci ringrazia. Era l'Italia delle Br, c'era tanta paura. Una vita difficile. Ma noi siamo stati capaci di dare agli italiani uno dei ricordi più belli della loro vita, qualcosa che va molto oltre lo sport».
Ne avevate consapevolezza?
«All'inizio, forse no. Ma sull'aereo di ritorno da Madrid accadde una cosa, il presidente Pertini si avvicinò e ci disse: "Voi non vi rendete conto di cosa avete fatto per l'Italia". Anche lui ci diceva grazie. Forse, davvero la nostra vittoria risollevò il Paese».
Pensa che Bearzot sia stato dimenticato?
«Quando escluse il capocannoniere Pruzzo per chiamare Paolo Rossi, che non giocava da due anni, in tanti pensarono: è matto. Anche noi, sono sincero, dopo le quattro partite iniziali in cui Paolo non aveva visto palla, eravamo sorpresi che Bearzot non lo togliesse. Se fossimo stati eliminati con Rossi titolare a zero gol, ci avrebbero massacrati. Ma il nostro cittì sapeva valutare i suoi ragazzi e non aveva nessun dubbio su Paolo».
Fu lei a passargli il pallone del primo gol della finale contro i tedeschi. Cosa accadde?
«Nel primo tempo non mi ero mosso dalla marcatura di Littbarski che era, con rispetto parlando, un gran cacacazzi. Avevo paura che mi fregasse. Ma nell'intervallo andai da Paolo e gli dissi: se vengo avanti, poi ti faccio il cross basso a girare perché questi sono tutti alti uno e novanta. Andò così. Chiedetelo ai miei compagni, ho i testimoni».
claudio gentile marca maradona
Ci racconti di Maradona.
«Io dovevo tenere Mario Kempes, non Diego, ma Bearzot venne in camera mia, la prese larga, mi riempì di elogi e poi mi chiese: te la sentiresti di marcare Maradona? Io credevo scherzasse, però risposi: "Mister, dov'è il problema?".
Quando Bearzot uscì dalla stanza, pensai: Claudio, sei proprio un deficiente. Ma ormai era troppo tardi, avevo detto sì, non me la sentivo di correre dietro al cittì e spiegare che forse non era il caso. Di sicuro, lui non avrebbe apprezzato. Così mi misi a studiare, e decisi che quel genio avrei potuto fermarlo soltanto con l'anticipo».
Tra Maradona e gli altri calciatori, c'era sempre di mezzo lei.
«Lo impallavo, chiudevo la visuale, così non gli passavano più la palla. Era la mia missione: annullare il creatore del gioco».
Ci riuscì anche con Zico, strappandogli quella famosa maglietta.
«Vogliamo dirla tutta? Era di carta velina, un tessuto a nido d'ape che appena lo toccavi si rompeva! Lo sa benissimo anche Zico, che infatti con me non si lamentò mai, così come sa che nella famosa azione della maglia strappata gli era stato fischiato un fuorigioco. Dunque, non esiste al mondo sostenere che fosse rigore: il gioco era fermo».
Cosa significa marcare?
«È un duello western dove esisti solo tu e l'avversario, è come se tutto quello che c'è intorno sparisse».
Le pesa essere stato considerato un terzino molto duro?
«Sì, perché è una stupidaggine. Nella mia carriera ho giocato 520 partite e non sono mai stato espulso per gioco scorretto. L'unico rosso lo rimediai per un fallo di mano in una semifinale di Coppa dei Campioni, eppure qualcuno mi ha inserito addirittura al quinto posto nella classifica dei giocatori più violenti di tutti i tempi. Non ha senso».
Ripensa spesso al Mundial?
«Non tanto, però sono gli altri a tenere vivo quel ricordo. E con l'anniversario dei 40 anni, figurarsi. I critici e i giornalisti scommettevano contro, sicurissimi che saremmo usciti al primo turno».
Zoff/Gentile/Cabrini: le fa effetto essere parte di un verso che tutti conoscono a memoria?
«È molto bello. Noi tre più Scirea, il gigante. In Nazionale cominciammo nel '78, e allora non si veniva chiamati per caso. Credo fossimo la garanzia di Bearzot. Quattro così forti, tutti insieme, io non ne ho visti più».
claudio gentile con la maglia della juve
Quanta tristezza le ha messo la fine di Maradona?
«Moltissima. Preferisco ricordare soltanto il Diego calciatore: per me, il più grande di tutti i tempi. Come uomo ha molto sofferto, e penso sia andato a cercarsi qualcuna delle sue disgrazie. Ma nessuno ha il diritto di giudicare».
È vero che nel 2006 lei doveva diventare cittì della Nazionale dopo Lippi?
«Prima mi chiamò Boniperti, e mi disse che la Juventus aveva scelto me per allenarla in B. "Vengo anche a piedi", risposi, ma per correttezza dovevo prima parlarne in Figc. Lo spiegai ad Albertini che mi chiese di aspettare, perché la Federazione aveva un progetto su di me.
diego armando maradona e claudio gentile
Quando Boniperti lo seppe, si arrese: "Se ti hanno promesso la Nazionale, vai pure". Ma il commissario Guido Rossi bloccò tutto e io mi bruciai entrambe le possibilità. Forse davo fastidio. Non accettavo ordini».
Si è mai pentito?
«Mai! Come allenatore vinsi l'Europeo Under 21 e il bronzo olimpico: dopo di me non hanno più combinato niente. Ci ho messo una croce sopra, mi sono ritirato con i risultati dalla mia parte. È andata così, anche se poteva andare meglio».
E adesso, Gentile?
«Vado in bicicletta. Stamattina, 90 chilometri attorno al lago di Lugano».
Al calcio ha detto veramente addio?
«Vado a vedere le partite dei bambini, ma a volte mi vergogno per i loro genitori. Siccome pagano la quota della scuola calcio, pretendono che i figli siano sempre titolari. Una pena. La crisi del movimento giovanile è cominciata con la fine degli oratori: io ci giocavo cinque o sei ore al giorno, gratis».
Possiamo considerarla la morale della favola?
«La morale della favola è che era meglio prima».
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