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Stefano Semeraro per "la Stampa"
Matteo Berrettini, fresco finalista a Wimbledon ha dovuto rinunciare alle Olimpiadi per un infortunio rimediato proprio a Londra. Matteo, quanto è dura?
«Era un appuntamento che aspettavo da due anni, visto il rinvio. Fino all'ultimo ho pensato di andare a Tokyo anche "rotto", ma non avrebbe avuto senso, non sarei riuscito a fare quello che volevo, cioè lottare per una medaglia. Inoltre rischiavo di peggiorare l'infortunio. Dopo lunghe riunioni con il team ho deciso di lasciar perdere».
Altri hanno rinunciato per motivi diversi: fra tennis e Olimpiadi non c'è vero amore? «Dipende dallo spirito. Fin da piccolo vivere nel villaggio a contatto gli altri atleti era uno dei mei sogni. Altri la pensano diversamente, ma io non giudico. Va detto che è un'edizione difficile per via delle restrizioni e della mancanza di pubblico. Ora Parigi 2024 per me diventa un obiettivo ancora più importante».
Che gare seguirà da casa?
«Sicuramente il basket, il mio sport preferito dopo il tennis. Gli azzurri hanno fatto una grande impresa a qualificarsi, mi sarebbe piaciuto sostenerli dal vivo e vedere la squadra Usa, perché sono un appassionato di Nba. Ma ho sempre seguito anche l'atletica, il nuoto, tutte le discipline più classiche».
Djokovic sembra imbattibile: vincerà anche l'oro che gli manca?
«È il più forte, e quello che sa gestire meglio certe situazioni. Però non è scontato. Senza pubblico, due set su tre e con le aspettative che si ritrova, non è un compito facile. Tanti possono metterlo in difficoltà».
A Wimbledon gli ha strappato il primo set: lì ha pensato di farcela?
«Sono entrato in campo pensando che potevo vincere. Novak è il n.1, e quello che per caratteristiche tecniche mi fa giocare peggio. Anche dopo il primo set sapevo che la strada era lunga, ma penso di aver fatto un passettino in avanti. Ora so che è difficile, ma non impossibile».
Cosa è cambiato in lei quest' anno?
«Sono più consapevole delle mie forze. Ho imparato dai momenti difficili, mi faccio meno "invadere" da quello che c'è all'esterno, so di avere in mano il timone».
A fine agosto ci sono gli Us Open, dove è stato semifinalista nel 2019, in novembre le Atp Finals a Torino.
«New York è un obiettivo, ma vorrei fare bene anche nei Masters 1000. Qualificarsi per Torino sarebbe la ciliegina sulla torta».
Ma è già n.3 nella classifica che deciderà gli 8 per le Finals.
«Sì, ma l'unico tranquillo è Djokovic che è già dentro».
A Torino c'è anche la Coppa Davis: la ospiterà il suo amico Sonego, torinese doc?
«È l’unica grande città d'Italia che non conosco: mi serve una guida come Lorenzo. E la Davis è un altro grande obiettivo».
È stato convocato anche per la Laver Cup di Boston, in squadra con Federer e con Borg come capitano.
«Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto farne parte. Stare in squadra insieme a leggende del nostro sport mi insegnerà tanto».
Berrettini nuovo sex symbol, dicono. La sua fidanzata Ajla Tomljanovic è gelosa?
«Il giusto, senza fare scenate. Anche lei mi ritiene un bel ragazzo, quindi capisce. A me fa piacere, non lo nego. Ma l'importante resta vincere le partite».
Più brividi a entrare per la finale sul Centre Court o stringere la mano a Mattarella e Draghi?
«Difficile scegliere. Sportivamente il Centre Court non ha eguali, ma quando sono entrato al Quirinale e mi hanno detto che dovevo parlare, le gambe tremavano e ho iniziato a sudare».
Un'oretta con Mario Draghi, tennista appassionato, ci scapperà?
«Sarebbe fantastico, ma credo sia uno dei pochi in Italia più impegnati di me in questo momento».
Con gli azzurri del calcio con chi ha legato di più?
«Ciro Immobile è stato carino, la curva non mi aveva riconosciuto, quando mi ha portato in campo sono partiti i cori. Ma anche con Mancini, Donnarumma, Bonucci, Chiellini sono stati bei momenti».
Chiellini cosa le ha detto?
«"Mannaggia, non sono riuscito a riposare prima della finale perché ti seguivo sul live score"».
Come è il Berrettini calciatore?
«Un mio amico mi ha messaggiato: "gliel'hai detto che hai i piedi buoni?". Col destro non me la cavo male, ma ho la gamba magra, poco da calciatore. Mi vedo dietro, centrale con il lancio lungo. E pronto a salire sui corner».
Berrettini ragazzo "spirituale", dicono. È vero?
«Con il mio mental coach Stefano Massari mi sono sempre concentrato sull'essere me stesso al di là del tennis. Cerco sempre la mia strada, gareggiare senza pubblico mi ha pesato perché mi piace far emozionare la gente. Mi fermano per strada e mi dicono: "mi hai fatto venire i brividi". Ecco, io gioco per quello».
Massari dice che lei è un po' hippie. Si sarebbe visto bene negli Anni '60?
«Forse sì. Era un'epoca un po' meno materialista di questa». Il viaggio della vita? «In Africa, per conoscere nuove culture e vedere gli animali che mi sono sempre piaciuti. Oppure in Asia, Thailandia o giù di lì, zaino in spalla senza una meta fissa, a visitare templi con il mio amico Marco Gulisano».
Un libro e un film da portare sull'isola deserta?
«Pulp Fiction. Mi fa innamorare ad ogni visione. Come libro non so, non è che faccio letture semplici»
Molto Herman Hesse, mi dicono.
«Esatto. Quindi meglio qualcosa di comico: il nuovo di Lundini. Il primo l'ho divorato».
Ha detto che da giovane pensava di essere scarso. Sul serio?
«Non l'ho mai detto. Ma non mi sentivo un predestinato. Se mi avessero chiesto se valevo i top 10 avrei risposto no».
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