DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Benny Casadei Lucchi per il Giornale
Sembra un gioco di parole. Non lo è. La Ferrari che a Maranello celebra se stessa lo fa senza due pezzi importanti di se stessa. Li ha persi per via. Il primo, fondamentale, unico, terribilmente meraviglioso, se ne è andato da trent'anni per inevitabili e naturali motivi di età: Enzo Ferrari, il fondatore della casa e creatore del sogno prima che del mito.
Il secondo pezzo mancante è invece il resuscitatore del marchio e l'aggiustatore del sogno nonché del mito: Luca di Montezemolo. Quest'ultimo ha lasciato tre anni fa. Doveva e poteva essere un naturale avvicendamento fra capitani di industria, si è rivelato qualcosa di diverso: l'epilogo di un duello con un vincitore, Sergio Marchionne, e uno sconfitto, Montezemolo. Da qui il taglio netto con il passato voluto dalla nuova gestione e ieri una vistosa stonatura: lo sconfitto non era fra gli ospiti della festa pur avendo guidato la Ferrari oltre venti dei settanta anni per cui la si celebra.
Come se la sua presenza potesse far ombra ad altri. «Non c'é perché sono stati invitati solo clienti Ferrari, solo piloti ed ex piloti Ferrari, solo figure istituzionali» è stata la debole spiegazione arrivata da Maranello. Fra questi il numero 1 della Federazione internazionale Jean Todt, ex direttore della gestione sportiva e poi Ad della Ferrari più vincente di sempre, cioè quella di Montezemolo; e Niki Lauda, ex pilota campione del mondo con la Rossa e presidente onorario della Mercedes che dopo il trionfo di Monza una settimana fa aveva spinto il presidente Marchionne a sbottare «dobbiamo togliergli il sorriso dalla faccia a quelli lì».
È impossibile parlare dei settant'anni della Rossa nello sport prescindendo dal fondatore ma anche dal resuscitatore scelto personalmente dallo stesso Enzo Ferrari nell'estate del '73 «perché sa, sono circondato da ingegneri e avrei bisogno di un consigliere che la vedesse in modo diverso...», gli aveva detto al momento dell'assunzione.
Tant'è vero che trascorsi due anni, con Lauda, la Ferrari era tornata campione del mondo dopo un digiuno lungo 11 stagioni. Sommati insieme, quarant'anni alla guida della propria creatura Enzo Ferrari e ventitré come numero uno della Rossa Montezemolo, hanno portato a casa 15 mondiali piloti, 16 titoli costruttori vinti, il tutto ripartito come segue: 9 campionati piloti Ferrari e 6 Montezemolo, parità otto a otto nei costruttori e 221 successi. 103 sotto il fondatore, 118 con il resuscitatore.
Con i 7 di Vettel sotto il successore Marchionne fanno 228. Per cui l'attuale presidente potrebbe anche bruciare le tappe: Ferrari impiegò tre anni per arrivare al primo titolo (1952, Ascari) e un anno e mezzo per la prima vittoria (a Silverstone, nel 1951, con González); Montezemolo attese tre stagioni per il primo successo (Berger, a Hockenheim nel '94), ben otto per il primo titolo Costruttori (1999) e nove per quello piloti.
Splendidi e mitici i piloti di Ferrari: da González al poco sopportato però sempre ammirato Juan Manuel Fangio, dall'amato Ascari a quelli da cui si sentì tradito, John Surtees in primis e poi lo stesso Lauda, fino agli sfortunati Luigi Musso e Peter Collins le cui morti in sequenza scatenarono contro di lui la chiesa quando, era il 1958, l'Osservatore Romano lo definì «saturno ammodernato che continua a divorare i propri figli». Senza dimenticare Lorenzo Bandini, Gilles Villeneuve, Michele Alboreto e gli ultimi scelti personalmente: Gerhard Berger e Nigel Mansell. Fra i piloti di Montezemolo a entrare nel mito è invece uno solo: Michael Schumacher. Cinque mondiali di fila e 72 vittorie regalate a se stesso e alla Rossa.
Enzo Ferrari, l'uomo che diede il via al sogno il 12 marzo 1947 uscendo dai cancelli della fabbrica di Maranello al volante della prima Rossa, la 125, e svoltando a destra sulla statale dell'Abetone, morì la mattina del 14 agosto 1988, un anno dopo aver celebrato di persona i 40 anni del marchio chiedendo a Pininfarina, ai suoi tecnici e alla Fiat - ormai dal '69 padrona a metà - fantasia, impegno e risorse per creare una macchina all'altezza dell'evento: la F40. Fu festa grande. Tra gli ospiti c'era anche il poco sopportato Juan Manuel Fangio. Nessuna stonatura.
ENZO FERRARI, LO STEVE JOBS ITALIANO –L’EPOPEA DEL DRAKE IN UN LIBRO DI LEO TURRINI - LA LEZIONE DI GUIDA A MUSSOLINI, I RAPPORTI CON TOGLIATTI, CRAXI E PERTINI – QUANDO PAUL NEWMAN GLI DISSE:" A HOLLYWOOD PENSANO A UN FILM SULLA SUA VITA, LA REPLICA: NON CE NE E’ BISOGNO, LA MIA VITA E’ GIA’ UN FILM"
Francesco Persili per Dagospia
Una macchina chiamata desiderio. La Ferrari accende la fantasia, scatena il godimento. “Ha lo stesso fascino della Loren”, titolò il Los Angeles Times. Bellezza e seduzione senza confini. Per informazioni chiedere a Mick Jagger dei Rolling Stones che ammutolì di piacere davanti alla 288 GTO.
Secondo il regista Roberto Rossellini, che la guidò anche alla Mille Miglia, non esisteva emozione più bella al mondo di correre con una di quelle automobili a 240 all’ora. E lo affermò con Ingrid Bergman seduta al suo fianco. “Il motore di questa macchina esprime un’armonia così perfetta che nessun maestro potrebbe mai interpretarla”, sosteneva il grande direttore d’orchestra austriaco Herbert von Karajan. Senti che bel rumore. Quando il giornalista Italo Cucci osò paragonarlo al suo corregionale Vasco Rossi, Enzo Ferrari si dichiarò onorato dell’accostamento. Frenare non gli piaceva, aveva la smania di innovare.
ENZO FERRARI COVER LEO TURRINI
Se oggi il Cavallino rampante è uno dei marchi più celebri e celebrati del nostro Paese nel mondo il merito è soprattutto del Drake, “lo Steve Jobs italiano con cento anni di anticipo”, scrive il giornalista di Sky Leo Turrini nel saggio “Enzo Ferrari – Un eroe italiano” edito da Longanesi. Come il padre della Apple, il costruttore modenese aveva voglia di inventare il domani. “La Ferrari di Ferrari questo ha rappresentato: il desiderio di scampare alla mediocrità”. Quel formidabile “agitatore di uomini” è stato il pioniere di un nuovo mondo tra la via Emilia e il West, il profeta in patria più cosmopolita di tutti: “Più famoso di me – diceva - solo Cristoforo Colombo”.
Sono passati 70 anni da quando il Drake uscì dai cancelli della fabbrica di Maranello al volante della prima Rossa. Quelle macchine vagheggiate da Enzo Ferrari durante la guerra hanno segnato il passaggio dell’Italia “da paese contadino a potenza industriale” e hanno sbullonato i sogni di una rinascita collettiva con buona pace dello scrittore Dino Buzzati secondo cui al volante della Ferrari c’erano solo “giovani ricchi con facce curiosamente inespressive”.
La velocità, il culto del motore e della competizione sfrenata, l’amore per le donne. Un’estetica dannunziana, quella del Drake, che risalta nella passione per le imprese dello sfortunato eroe dei cieli della prima guerra mondiale Francesco Baracca: “Metta sulle sue macchine il cavallino rampante di mio figlio”, gli disse la madre. E quello stemma si fece romanzo popolare.
Sfrecciano i campioni del cuore: Ciccio Ascari, Villeneuve “che valeva Nuvolari” e l’austriaco Berger con cui si divertiva a parlare di donne, i trionfi, le sconfitte e la catena infinita di lutti, l’amarezza quando l’Osservatore romano nel 1958 lo paragonò a un Saturno industriale, la commozione per la telefonata di papa Giovanni Paolo II, l’amore per Fiamma Breschi che cambiò anche il suo modo di vestire (“Lui portava i pantaloni ascellari e i calzini corti che trovavo orribili…”)
Il Drake ha messo Maranello sulle cartine geografiche della Storia. Capi di stato e star di Hollywood hanno fatto a gara per farsi fotografare vicino alle macchine più belle. Nella sua prima autobiografia “Le mie gioie terribili”, Ferrari ha raccontato di quella volta che incrociò Pavarotti e venne colpito dalla “pacata semplicità” del tenore “insospettabile in un uomo di tanto successo”. Mastroianni fu attentissimo a ogni particolare della vettura. Ad Anna Magnani fece da autista ma Nannarella si prese paura e lo invitò a rallentare. Con Beppe Grillo affrontò l’eterno dilemma: “Per un attore è più facile far piangere o far ridere?” A Little Tony, che gli confessò aspirazioni da pilota, augurò di avere il successo ottenuto col canto mentre a Rosanna Fratello consegnò le pagelle sulle signore della musica (“Mina non è male ma a volte sembra una lavandaia, la Zanicchi somiglia in eccesso a una rezdora emiliana”).
gilles villeneuve enzo ferrari
“Sono troppo vecchio per apprezzare i versi e la musica di Bruce Springsteen ma spiegagli che non si è inventato niente”, disse testuale a Michele Alboreto che gli stava raccontando come a partire dal dialogo fallimentare tra un imprenditore e un reduce di guerra il Boss aveva costruito la canzone “Born in the Usa”. E in cuor suo ripensò a quell’incontro con l’ing. Diego Soria in Fiat che lo congedò con freddezza e alle lacrime versate su una panchina del parco del Valentino.
Un idealista senza illusioni, un uomo libero da ogni schema politico. Etichettato prima come missino e poi comunista, Enzo Ferrari si mantenne fuori dalla politique politicienne. Con Mussolini si sfidò sui tornanti dell’Appennino: ”Lei mi ha dato una lezione di guida”, ammise alla fine il Duce. Nel Dopoguerra ospitò il segretario del Pci Togliatti e gli chiese perché lo chiamassero il Migliore: “Perchè sono circondato da mediocri”, rispose l’onorevole. “In fondo e lei ci somigliamo – ribattè il costruttore – io sono il migliore per la mia azienda, lei lo è per il suo partito, non abbiamo usurpato nulla a nessuno”.
Con Berlinguer parlò dei meriti del modello industriale emiliano “dove non c’è posto per sfaticati e assenteisti”. Con Craxi discusse di Garibaldi e di patria e si commosse quando Pertini da capo dello Stato gli inviò un telegramma per complimentarsi dopo una vittoria della Rossa. In morte del Drake, Montanelli accusò la classe politica di non aver mai onorato un personaggio tanto importante con la nomina a senatore a vita. La verità? Ferrari non sapeva cosa farsene dei titoli, era un uomo del fare animato da un sentimento “risorgimentale”: “Sono un italiano orgoglioso di essere tale nonostante i difetti miei e del mio popolo”. Quando Paul Newman gli disse che a Hollywood pensavano a un film sulla sua vita disse: “Non ce ne è bisogno, la mia vita è già un film”.
ENZO DINO FERRARIENZO DINO FERRARI 4marchionne gentiloni
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