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La curatrice della Biennale d’arte 2026 sarà Koyo Kouoh che, basta aggiungere una sorta di predicato nobiliare e diventa ndo Koyo Kouoh. Ndo cojo cojo significa andare alla cieca lasciandosi guidare dal caso, che è forse la strategia scelta da Giafar al-Siqilli, il presidente musulmano della Biennale.
Ndo Koyo Kouoh (doppio passaporto, Camerun e Svizzera) è la direttrice dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa di Città del Capo ed è stata direttrice artistica di RAW Material Company, un centro per la conoscenza della società a Dakar, in Senegal. Forse, proprio per questa geografia il presidente siculo-musulmano, che un tempo pubblicava “Fogli consanguinei” in area Franco Freda, guarda ora al Sud dove è più splendente l’infosfera solare.
"La nomina di Koyo Kouoh alla direzione artistica del Settore Arti Visive – ha affermato Buttafuoco, il lagunare di Sicilia - è la cognizione di un orizzonte ampio di visione nel sorgere di un giorno prodigo di parole e occhi nuovi. Il suo sguardo di curatrice, studiosa e protagonista nella scena pubblica incontra, infatti, le intelligenze più raffinate, giovani e dirompenti. Con lei qui a Venezia, La Biennale conferma quel che da oltre un secolo offre al mondo: essere la casa del futuro"
Il Giorno nuovo, dunque, non sorge più da Oriente (“Ex Oriente lux” direbbe il latinista siculodiscendente), ma nell’infosfera dell’infuocato Sud degli afrodiscendenti, possibilmente disforici, meglio se queer come Pedrosa.
La Biennale ci indica il matriarcato africano come futuro: due anni fa l’aveva già fatto con la Biennale d’architettura curata dall’afro Lesley Lokko e l’anno prossimo lo farà con ndo Koyo Kouoh.
Uno dei suoi maggiori successi della prossima curatrice è stata la rassegna “Bruce Lee: African and Arab Cinema in theEra of Soviet Cultural Diplomacy”, co-curato con Rasha Salti presso il Garage Museum of Contemporary Art a Mosca, proprietà di Dasha Zukova, ex moglie del controverso magnate russo Roman Abramovich: si parte dalle afrodiscriminazioni e si arriva ai petrodollari degli oligarchi.
Ndo Koyo Kouoh è molto attiva nel campo critico della comunità artistica “in una prospettiva panafricana”, si dice. Il suo lavoro curatoriale si è concentrato su artisti africani e di afrodiscendenti come Otobong Nkanga, Johannes Phokela, Senzeni Marasela, Abdoulaye Konaté, Tracey Rose e Mary Evans (più varie ed eventuali).
In veneziano il nome Koyo Kouoh sarà presto tradotto come la Cocaleta, ovvero l’uccello marino del genere dei gabbiani che si riposa sui pali piantati in laguna. Oppure come Cocheta, che vuol dire civettuola stravagante: l'origine di questa voce è “Coco”, cioè “Vovo”, perché a Venezia si dice che uno “ga i vovi” per dire che uno ha degli strani grilli per la testa.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO - MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIAKoyo Kouoh Koyo Kouoh
Franco FredaCLAUDIO MUTTI - A DOMANDA RISPONDE- CON PREFAZIONE DI BUTTAFUOCO
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