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Malcom Pagani per il “Fatto quotidiano”
In attesa che il massimo teorico del vaffanculo gratuito al pubblico pagante, Daniel Pablo Osvaldo, torni a calcare i palcoscenici autunnali, l’arena pallonara prepara ricchi premi per gli epigoni. Tra un ditino davanti alla bocca, due mani portate alle orecchie o una plateale uscita dal campo per raggiungere a passo di carica la doccia pur di non stringere la destra al tecnico che appena osato sostituirlo, il campione del 2000 traligna senza pudore.
Da Adem Ljajic, giovane lupo che al pelo che verrà aggiunge l’antico vizio della sceneggiata (con Delio Rossi gli andò male, ma questa è un’altra storia), al principe degli esibizionisti Mauro Icardi (per lui scene di isterismo, bersaglio Mazzarri, nella lieta cornice di Inter-Verona) il neocafonalesimo da stadio abbatte le barriere del passato e si proietta nel futuro con rinnovata baldanza.
Il minimo comun denominatore di talenti non esattamente ascrivibili allo stesso paradiso maledetto dei Maradona e dei Best, è la predominanza del labiale rispetto al gesto tecnico. Il gusto si è evoluto e ormai sbiadito nella memoria il ricordo del Chinaglia furioso del Mondiale tedesco del ’74, negli occhi restano le prodezze dei suoi pallidi imitatori. Alle mitragliate e agli innocenti trenini baresi degli Anni 90, le leve del domani aggiungono una protervia figlia dell’impunità.
Tra un codice etico disatteso, una regola di cartapesta e un Tavecchio a capo della Federazione, il generalizzato, inverecondo laissez-faire nazionale ha contagiato tutti. C’è chi predilige la piazzata di fronte alle telecamere per poi gloriarsi su Twitter, chi l’eclissarsi indolente (maestro del genere, il torinista Barreto, escluso dalle ultime quattro convocazioni di Giampiero Ventura per scarso impegno) chi il muso lungo e l’intervista sapida e lamentosa (il romanista Destro), chi addirittura come Kelava, l’ex portiere del Carpi capolista in Serie B, autoeliminatosi alla vigilia di una gara dopo aver saputo che non sarebbe partito titolare, l’abbandono coatto del ritiro.
In mancanza di risoluzioni, sanzioni reali o almeno di presidenti alla Lugaresi o alla Garonzi che ai loro dipendenti, in un rapporto ferino non estraneo allo scontro fisico, sapevano imporre severi e spesso brutali decaloghi comportamentali, ci si accontenta di ciò che passa il convento. La messa moderna è un saggio sull’ingratitudine. E il tempio, sconsacrato.
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