DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Marco Ciriello per "Domani"- Estratti
Quando Daniele De Rossi fu acquistato dal Boca Juniors il quotidiano «Clarín» scrisse che il Boca non aveva comprato un giocatore ma un «concetto romantico». Guardando l’accoglienza prima a Trigoria e poi all’Olimpico, sembra che De Rossi continui ad essere un «concetto romantico» prima come calciatore e ora come allenatore.
La sua essenza è diventata un cuscinetto tra la Roma e i suoi tifosi, tra il recupero del campionato e lo tra lo strappo di mandar via José Mourinho, un grande illusionista a livello di David Copperfield che riesce a far sparire il bel gioco e le vittorie in campionato – dove arriva due volte sesto ma con due finali europee, Conference ed Europa League – in funzione di una difesa del romanismo (non si sa bene da quali attacchi) ribadita in quasi tutti gli striscioni esposti allo stadio. In questo contesto, buttato in mare come un bambino che deve imparare a nuotare, Daniele De Rossi in nome della tradizione è stato chiamato a sostituire San José inventore del cinema calcistico.
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In realtà non sarà così facile, ma intanto ci prova, si mette alla prova dopo una mezza esperienza con la Nazionale e una panchina a Ferrara con la Spal, poco, ma De Rossi rappresenta gli altri e conosce Roma
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De Rossi voleva farlo e ora lo fa e facendolo ha scoperto la difficoltà di passare dal campo dove si è sempre figli alla panchina dove si diventa padri. Ha anche già l’anello successivo nella catena della romanità in campo, Lorenzo Pellegrini – stesso ruolo e fascia da capitano –, ma ora gli tocca da esse Augusto, con la maiuscola.
Della generazione di Bruno Conti l’impresa è riuscita solo a Dino Zoff, sponda Lazio. Di quella di De Rossi, che ha vinto un mondiale, allenano molti di più di quelli dell’82, anche se ancora nessuno è stato consacrato venerato maestro di calcio. Non basta vincere un mondiale e avere due evidenti maestri di calcio come Enzo Bearzot e Marcello Lippi per eguagliarli.
Non a caso De Rossi spiegando il suo accettare il tuffo in mare per la Roma ha citato Andrea Pirlo che è stato consumato dalla frenesia della Juventus, sulla scia del guardiolismo che faceva sembrare semplicissimo il passaggio dal centro del campo alla panchina, ma De Rossi ha omesso i cattivi risultati, tenendosi l’esempio di responsabilità.
Ma quello più consumato dalle panchine nella stagione del dopo, tra i ragazzi del 2006, è Rino Gattuso, la sua odissea calcistica ne fa un Ulisse fantozziano che forse ora sulla panchina dell’Olympique a Marsiglia ha trovato una quasi Itaca di pallone. Consumati sono anche Fabio Cannavaro che, però, non smette di avere un ottimismo e un attivismo zavattiniano, saltando dall’Arabia alla Cina fino a Benevento, in attesa d’essere il De Rossi del Napoli; consumato e stropicciato tra le pieghe della violenza del calcio francese è Fabio Grosso, ultima panchina quella dell'Olympique Lione;
consumato e imbiancato è Pippo Inzaghi che allena la Salernitana riuscendo però in una azione mourinhiana: trasferire sempre alle squadre che guida il suo carattere; meno consumati appaiono Alessandro Nesta che allena la Reggiana e soprattutto Alberto Gilardino che col Genoa ha trovato il “contesto” che gli permette l’espressione senza pressione, che è poi una delle grandi difficoltà da superare quando si allena: arrivare a saper sopportare vittorie e sconfitte.
E poi ci son quelli che si son messi in salvo dai tormenti della panchina: come Totti – tormentato dal gossip e marcato strettissimo –, Alex Del Piero e Luca Toni che commentano senza mai rischiare di finire in fuorigioco o essere vittime d’un esonero, hanno scelto la tranquillità; e poi ci sono quelli del campo di mezzo come Gigi Buffon divenuto capo delegazione della nazionale italiana o Simone Perrotta dirigente della FIGC o Marco Materazzi che se ne sta in disparte entrando in tackle, questa volta solo parolaio.
È sempre difficile lasciare la palla agli altri. De Rossi è stato un calciatore capace di fare dell’intensità la sua forza, in campo riusciva a resistere alle pressioni e spesso a liberarsi anche con il gomito, in una sincerità fisica che piaceva alla curva, ma col tempo ha imparato a contenersi, si è rieducato in un percorso di crescita. Interiorizzando la romanità. «Io la crisi della Roma me la porto dentro. Ci convivo anche quando vado a casa». Ora quella crisi la deve risolvere. In un percorso nuovo, quello del dopo, della vita bugiarda degli adulti.
fabio cannavaroFABIO CANNAVARO CENTRO PARADISO
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