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Stefano Semeraro per la Stampa
«Sinner? È la nuova stella a cui guarderanno gli appassionati. Mi sono allenato con lui all' Accademia di Riccardo Piatti, è un ragazzo molto serio. Ed è in buone mani: Riccardo, che è stato anche il mio coach, è un ottimo tecnico». Parola di Novak Djokovic. Mica male come endorsement: da Londra a Milano, dal cinque volte Maestro del tennis al Piccolo Maestro delle Next Gen.
Piatti, dica la verità: un italiano così forte lo aveva mai visto né allenato?
«No. E neanche uno straniero.»
Attenzione.
«Non vuol dire che diventerà il nuovo Djokovic. A Jannik l' ho spiegato dopo la partita con Wawrinka agli Us Open. Novak lo ho allenato quando aveva la sua età, 18 anni: era forte, ma ci ha messo sette anni a vincere gli Us Open. Anche per Sinner saranno fondamentali i prossimi 4, 5 anni. Non deve perdersi. Il mio compito è impedire che accada».
La ricetta?
«Giocare tante partite ad alto livello. Almeno 60 l' anno prossimo, e badi che sarà molto difficile. Per quello mi sono battuto a morte per fargli avere tante wild card».
Quanto vale davvero Sinner?
«Un livello molto alto ce l' ha già. Anzi, tanti tornei li ha giocati sotto standard, gliel' ho anche detto. Poi quando affronta i più grandi alza l' asticella. Fra 150 partite, se tutto va bene, sarà pronto».
La sua qualità più grande?
«Una reattività nervosa impressionante. Prima della partita sta immobile per un quarto d' ora, poi entra in campo e bang! Parte subito al massimo. La qualità dei campioni».
Il paragone con Djokovic regge anche tecnicamente?
«Per me Nole era un giocatore che doveva rispondere e venire avanti. Jannik deve spingere e venire a prendersi le partite. Per quello l' ho portato a cena con Safin e la Sharapova: gli hanno spiegato che alla sua età volevano sempre vincere loro, non aspettare che perdesse l' avversario».
Come si allena un fenomeno?
«Jannik non è un fenomeno, ma ha la capacità di capire come vanno fatte le cose, e di farle. Io devo portare al limite questa capacità. Da allenatore ci provo con tutti, molti però si perdono. Hanno paura di perdere, o di investire su se stessi: e non parlo di soldi. Jannik paure non ne ha».
Dove lo ha visto migliorare quest' anno?
«Nel servizio. Rispetto a Roma è già diverso, anche nelle percentuali, ora però deve imparare a usarlo per mandare fuori equilibrio l' avversario».
Su che cosa deve lavorare?
«Deve imparare a gestire il gioco. Federer, Nadal, Djokovic, perché vincono tanto? Perché sanno cambiare situazione di gioco anche 3 o 4 volte in un match».
In campo ricorda Borg: calma glaciale.
«Gli viene dallo sci, che praticava da piccolo: se parti incazzato dal cancelletto, esci alla prima porta».
Nel privato che tipo è?
«Uno che si diverte un sacco. Insieme scherziamo, ci facciamo mille risate, anche a Milano con la storia del coaching via audio. Il tennis non è un lavoro: è un gioco. In questo Jannick mi ricorda uno fortissimo che si diverte un mondo a giocare a tennis...».
Un certo Roger Federer?
«Lo ha detto lei».
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