
FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI…
1 - MILAN, L'ERA GALLIANI FINIRÃ IN PRIMAVERA
Stefano Scacchi per "la Repubblica"
Le stesse persone di trentaquattro anni fa per voltare pagina senza strappi. à iniziato ieri ad Arcore l'addio di Adriano Galliani al Milan. Tre ore di colloquio con Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri, il terzetto che il 1° novembre 1979 aveva sancito l'ingresso dell'allora proprietario dell'Elettronica Industriale nell'universo del Cavaliere.
«Eravamo insieme quando è partita la nostra avventura che non è previsto si interrompa», ha detto Galliani all'uscita di Villa San Martino, mentre Berlusconi lo salutava da lontano. La prosecuzione di questo rapporto non avrà più i colori rossoneri, ma potrebbe comportare un ritorno di Galliani alle origini, con un incarico in una società del gruppo Fininvest (sta crescendo molto EI Towers, azienda leader in Italia per le torri di ricezione dei segnali tv, controllata proprio dalla Elettronica Industriale, ora di proprietà Mediaset).
«Silvio Berlusconi sarà sempre il mio presidente per tutta la vita», continua Galliani con parole da fedelissimo che allontanano la possibilità di dimissioni o separazioni traumatiche, ma anticipano comunque il commiato al Milan. Il cambio della guardia andrà in scena entro la primavera e sarà sancito dall'assemblea dei soci ad aprile. à la dimostrazione che Berlusconi senior ha condiviso le osservazioni elaborate da Barbara nel corso degli ultimi mesi.
Già nel 2012 era previsto l'avvio di una transizione morbida con l'inserimento di un direttore generale nell'organigramma milanista, ma il piano non andò in porto. Ieri ha incassato belle parole da Moratti: «Ho visto la partita del Milan e la tristezza di Galliani mi ha fatto solidarizzare con lui».
Anche venerdì sera l'ex premier e la figlia hanno avuto un lungo confronto. à stato l'ultimo assestamento prima del chiarimento definitivo con il dirigente che ha segnato l'epoca del Milan capace di vincere 28 trofei, tra cui cinque Coppe Campioni, tre Intercontinentali e otto scudetti, alimentando l'epopea del "club più titolato al mondo".
L'ad che ha acquistato il trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard, il giovanissimo Donadoni, il futuro "Genio" Savicevic, i colpi del ciclo "ancelottiano" Inzaghi, Nesta, Pirlo, Rui Costa e Seedorf, e i brasiliani poi diventati famosi Kakà e Thiago Silva (con la collaborazione di Leonardo) fino agli ultimi botti Ibrahimovic e Balotelli. Affari che sono diventati sempre più complicati con la diminuzione delle risorse economiche a disposizione del Milan.
Nelle ultime sessioni Galliani ha cercato di difendersi con ingaggi di giocatori a parametro zero o in rotta con i club di appartenenza. Ma non è bastato in un mercato nel quale vince chi scandaglia ogni angolo del pianeta alla ricerca dei talenti ancora nascosti.
Non a caso, la difficoltà nel tenere sotto controllo il panorama internazionale con un'adeguata rete di osservatori è stata una delle critiche elaborate da Barbara Berlusconi. Tra pochi mesi a confrontarsi con questa realtà saranno gli uomini scelti dalla giovane componente del cda rossonero. Paolo Maldini direttore dell'area tecnica con un ds della nuova generazione: in lizza i viola Pradè o Macìa, lo juventino Paratici e il veronese Sogliano.
E nuovi manager per l'area economico- amministrativa: tra i papabili, il dirigente della Roma, Claudio Fenucci, e il dg di Coni Servizi, Michele Uva. Possibile anche un ritorno di Demetrio Albertini.
Con ogni probabilità saluterà anche Allegri, fortemente difeso da Galliani in questi anni.
«Ha ragione Ancelotti, Galliani è il Cristiano Ronaldo dei dirigenti», dice l'allenatore livornese chiamato a fermare la crisi di risultati del Milan oggi a Verona col Chievo. «In questi momenti è meglio non pensare troppo - continua Allegri - parlare di terzo posto sarebbe da folli. Dobbiamo solo tornare alla vittoria. E Balotelli in questa stagione non è stato all'altezza». Oggi Super Mario è squalificato, ma d'ora in poi anche lui sarà un osservato speciale del "nuovo" Milan.
2 - MEMORIE DI ADRIANO BERLUSCONI E GALLIANI DIVORZIANO IN PACE
A 34 ANNI DI DISTANZA DAL PRIMO INCONTRO, AD ARCORE, IL PRESIDENTE E LO STORICO AD DEL MILAN SI DIVIDONO SENZA ROMPERE. ADDIO A GIUGNO. VINCE BARBARA
Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"
Ieri in mutande alle Bermuda. Domani forse, come nelle poesie di Stefano Benni, tutti nudi a Filicudi a mangiar pesci crudi. Per ora, adesso che la corsa di Adriano Galliani sembra finita, dirlo ai quattro venti non è indizio di virtù e al Bar sport di Arcore servono solo pasti nudi, allucinazioni e rimpianti, si può solo chiudere da buoni amici, marciando ancora pubblicamente compatti come ieri, senza più elogi della follia né pubbliche letture perché ogni cosa è già stata scritta e l'unico vero pazzo è chi non considera lo scorrere del tempo. Dal primo incontro tra il geometra e Berlusconi, di anni ne sono trascorsi 34.
Era novembre anche nel '79 e sulla porta di Villa San Martino, esattamente come ieri in una pallida copia di Vermeer a uso delle telecamere e dei flash, pareva tutto nitido e Silvio osservava salutando l'ospite svanire all'orizzonte. In mezzo molte imprese sportive, alcune gite pericolose tra la Sicilia e i marsigliesi e la regola del silenzio perché qualunque categoria di giudizio si potrà applicare al geometra brianzolo che governò il Milan per un quarto di secolo con piglio da Caudillo, ad eccezione dell'ingratitudine .
Così alla fine del vertice tra mèntore e dipendente, dopo che il grottesco siparietto da separati in casa al Camp Nou tra l'erede e l'amico e le dichiarazioni di Barbara Berlusconi: "Al Milan ci vuole una nuova filosofia aziendale" per citare il padre, avevano creato "l'inferno" è tutto un paradiso di bugie, cortesie per gli ospiti, malcelata indifferenza che abbassando il finestrino della sua macchina sulla realtà e dandosi ai cronisti, Galliani interpreta con piglio distante dall'immortale imitazione che Teocoli, irridendo i suoi sturbi da tribuna, tramandò ai posteri.
à un Galliani misurato che dà appuntamento a Verona (dove Allegri, povero diavolo, si gioca il panettone) e incensa Berlusconi: "Sarà il mio presidente per tutta la vita. Lo era quando ero a Mediaset e a Fininvest, lo è quando sono al Milan". Che promette fedeltà eterna, liquida l'ipotesi parigina al Psg con uno scenografico "roba da pazzi" e in piena tradizione latina, rimanda a domani la verità che l'universo intero conosce già .
Mañana siempre Mañana perché il presente tra arresti, tradimenti, decadenze e tramonti fa troppo male, Barbara preparerà la strada con Maldini, Albertini e Fenucci con relativa calma e a chi ha saputo tacere al momento opportuno: "Non parlerò mai delle vicende societarie del Milan" non si riserva lo stesso trattamento che un notevole Berlusconi da cinema, il ministro Botero del Portaborse di Luchetti animato da uno spietato Nanni Moretti, destinava brutalmente al suo più fedele collaboratore: "Sebastiano, io ti voglio bene, ma è cambiato tutto. Ancora non l'hai capito?".
"No, non ho capito. Cos'è che devo capire?". "Devi capire che tu non conti più un cazzo! Devi capire che io ti tengo con me come una decorazione, come un santino! E che se non firmi quel contratto, io ti faccio internare! Hai capito, rimbambito?". Intorno al desco, ieri ad Arcore, il clima era diverso. C'era Fidel. Fidel Confalonieri. E con loro, Adriano e Silvio. Rugosi, delusi e stanchi, perché niente rende più esausti dell'irripetibilità del miracolo. Tre vecchi che nella rabbia giovane, nella ribalda convinzione del "ghe pensi mi" e nella comunanza di vedute che intuiva con banditesca lungimiranza confini, limiti e possibilità di espansione di un territorio vergine, erano stati ragazzi. Più ragazzi di altri.
In quel '79, dandosi del lei come fecero nei successivi decenni, Berlusconi e Galliani si capirono al volo. Tra il primo e il secondo, in una pausa della cena, la Brianza operosa era salita al potere e il soldato Adriano con la sua "Elettronica industriale" e le sue torri di trasmissione era stato arruolato senza se e senza ma con l'obbiettivo di recuperare spazi e ripetitori sul territorio al fine di far nascere tre reti televisive per poi essere spostato, assecondando la vecchia passione per il pallone che - raccontò in una bella intervista a Cesare Lanza- lo aveva portato a fuggire a Genova a 10 anni per vedere chi tra ungheresi e tedeschi avrebbe alzato la Rimet e poi fino a Chiasso per una zingarata collettiva a vedere il Milan finalista della Coppa dei Campioni 1963, sul solido trono di Milanello.
Ora mentre si appronta una tregua di cartapesta tra le parti e infuria la battaglia "sentimentale" dell'anziano padrone per assicurargli una meritata immunità diplomatica, un posto alla presidenza della Lega o un qualunque altro incarico in linea con una carriera da dirigente che gli creò sì qualche grana ai tempi di Calciopoli e non piaceva a Rivera: "Non riesco mai ad infastidirmi per le parole di Galliani. La sua incompetenza è evidente", ma al Milan di Sacchi, Gullit e Capello ha consentito di vincere di tutto un po', il tono prevalente è l'elegia.
L'ostentata signorilità da copertina perché contratti, buonuscite e accordi verranno stipulati e saranno generosi, ma in prima pagina, non finiranno mai. La tentazione di considerare questo pomeriggio di novembre così vicino e così lontano a quello di 34 anni fa, come la chiusura definitiva di un cerchio, è più forte della voglia di scoprire se davvero, con i suoi tempi e a quali condizioni, abbia vinto Barbara.
La nuova "filosofia" confina con l'anagrafe, con le brame filiali, con l'inevitabile successione aziendale di un mondo che declina al ritmo dell'azzardo. Silvio Berlusconi ha buona memoria. Ridisegna la realtà per deformazione, convenienza e attitudine martirologica, ma rimembra ancora. Ricorda tutto. A Marsiglia, nel '91, al Velodrome, il Milan perde e uno dei riflettori va ad intermittenza.
Al 90', Galliani si illumina. Attraversa il campo e trascinando il trench in stile Bogart fa suonare l'ultima canzone. Un ordine secco. Un inaudito rompete le righe ai calciatori: "Fuori, adesso". Ora che lo invitano a fare lo stesso, si scopre che le luci si spengono per tutti e come in quella canzone, rimangono solo soldi e celebrità . A Milano fa più freddo e all'improvviso, San Siro, dove Adriano governava senza rivali, è una terra straniera, una zona franca, il luogo di un passato che non tornerà mai più.
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