DAGOREPORT – CON L'OPERAZIONE GENERALI-NATIXIS, DONNET SFRUTTA UN'OCCASIONE D'ORO PER…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Il macigno rotola sempre a valle e sulle ostinate fatiche dei due Sisifo arriva puntuale, dall’alto dei cieli, la pernacchia bianconera. Roma e Napoli franano a Genova, fronte Sampdoria, e in casa con il Palermo dell’Orco Zamparini, pareggio che pesa più di una sconfitta. Mario Mandzukic è oggi il giocatore più importante della Juventus. Di gran lunga. Più di Higuain e di Dybala. Più di chiunque altro. E’ lui, solo lui, che ha permesso al suo allenatore la botta da matto, che poi sarebbe la stessa cosa della botta da livornese. La terra dei Piero Ciampi.
Giocare con una squadra così farcita di offensivi e primedonne. Quello che sembrava uno sfondone tattico alla lavagna dei puristi e degli “equilibristi” è diventata una soluzione micidiale. Succede questo nel cranio di Max Dentone, che non è certo un’aquila ma dei livornesi ha la sterzata sulfurea e anarchica: “Dite di me che sono un conservativo, un minestraro, che punisco il talento, eccetera, allora ecco cosa vi combino…
Dentro tutti insieme, Higuain, Dybala, Mandzukic, Cuadrado, Pjanic”. E’ la beffa di Allegri. Criticoni spiazzati. Lo aspettano all’altare per stroncarlo, ma lui non arriva è andato a fare bagordi altrove. Tutta questa zingarata, questo ribaltare il tavolo, gli è possibile grazie alla disumana energia del croato, aggiunta al non comune talento di calciatore.
Prima di verniciarsi la pelle di bianconero Mandzukic era solo un buon centravanti, aggressivo, fisico, non banale nemmeno di piedi. Oggi è un giocatore totale, capace di ogni cosa, in ogni zona del campo, il colpo di tacco ma anche la folle corsa da terzinaccio dietro un avversario. E’ lui oggi il vero Supermario. L’estensione muscolare e tecnica dei Bonucci, dei Chiellini e dei Barzagli in altre zone del campo. Oltre che l’infinito rilancio della “bestia” bianconera, a testimoniare che chi arriva da queste parti ha da trasfigurarsi nel corpo e nella mente.
Il sesto scudetto è solo questione del tempo che serve a sfogliare il calendario dove ciò che accadrà è già accaduto. La Roma spallettiana s’era vezzeggiata l’illusione d’aver ingoiato il rospo bianconero, d’essere diventata come loro, brutta, cattiva e inesorabile. Abbaglio ennesimo. Per diventare come loro ci vogliono anni di storia coerente, una società alle spalle capace di governare il visibile e l’invisibile, uno stadio che produce valore termico ed economico e, ultimo ma non ultimo, la devozione segreta, mai confessata ma palese, degli uomini fischianti.
La Roma contro la Samp era solo brutta. Lenta e prevedibile. Impossibile esserle devota. Le due cazzate contro di Mazzoleni e soci (punizione e fuorigioco contro inventati, rigore a favore non dato) hanno solo aggiunto il vecchio refrain di quanto non si conti nulla nel cuoricino tenero degli arbitri. Che sono quello che sono. E per capirlo basta incrociarli come opinionisti televisivi a fine carriera. Una galleria di simpatiche macchiette.
Stavolta ci si è messo anche Spalletti. Che difende iroso la scelta e il nome di Vermaelen. Per l’appunto, a Marassi del belga c’era solo il nome, il guscio vuoto alla Jude Law. Muriel lo spettinava come fosse una bambola. In questi casi, bisogna avere la lucida ferocia di cambiare dopo un quarto d’ora. Il peggio è che la società non vuole o non può. Lo si deve dedurre da come non si è fin qui mossa sul mercato (il colpo eventuale dell’ultima ora non sposta il concetto). Vincere lo scudetto non interessa troppo, anzi, forse viene considerata una iattura, a considerare svantaggi (esborsi straordinari) e vantaggi (non quantificabili, per via anche di una tifoseria che si manifesta ovunque tranne che allo stadio).
Un solo esempio tra i tanti possibili: la Roma è l’unico club al mondo che ha un solo attaccante centrale (la Sampdoria, per dire, ne ha almeno tre). Se Dzeko si frattura l’alluce inciampando sullo spigolo del letto, la Roma deve votarsi alle larghe natiche del Santo Totti. A questo siamo. Amen.
In quanto al Napoli. Si dice, sacchianamente, che il copione di qualità assorbe e surroga il non eccelso livello degli interpreti. Bah. Sta di fatto che gli interpreti di quel Milan erano quanto di più eccelso, mentre quelli del Napoli sono al massimo buoni, in due, forse tre casi eccellenti. Non di più. Basta un minimo calo di tensione o di salute fisica e l’incidente può capitare ovunque. Persino con la più derelitta di tutte. E già retrocessa.
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