EPICA O CHIMICA? L'IMPRESA DI FROOME SUL MONT VENTOUX SCATENA PIU' DUBBI CHE ENTUSIASMO

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Giuseppe De Bellis per IlGiornale.it

In cima al Mont Ventoux si infrangono i nostri sogni. Perché Chris Froome fa una cosa che ti tiene con la bava alla bocca davanti alla tv: vince una tappa epica del Tour de France numero 100 staccando tutti in salita, pedalando col doppio della forza, mettendo il mondo tra sé e gli altri.

Dici: e perché allora si infrangono i nostri sogni? Perché la prima reazione, quella istintiva, quella immediata, quella che arriva un secondo dopo il traguardo tagliato è questa: sarà pulito o sarà dopato pure lui?

Di fronte a un'impresa sportiva epocale ti fai l'unica domanda che non dovresti farti. Ma è inevitabile. Perché non passa anno che la classifica della gara ciclistica più famosa del mondo non venga stravolta dagli esami delle urine o del sangue fatti durante o dopo la fine, perché a Lance Armstrong hanno tolto tutti e sette i Tour vinti dal 1999 al 2005, perché a Floyd Landis hanno tolto la vittoria del 2006, perché Alberto Contador che ha vinto nel 2007, nel 2009 e nel 2010 è stato squalificato due anni da tutte le gare perché positivo pure lui.

Allora lo guardi questo benedetto e maledetto sport che sa di fatica, di sudore, di muscoli, di volontà ma mentre lo stai guardando non sai se è tutta natura o c'è molta chimica.

Una vittoria epica come quella di ieri dovrebbe lasciarti con il desiderio di essere Froome: uno che scatta, lascia gli altri dietro e domina una pendenza che spaventa una jeep, fino a vincere. È, o dovrebbe essere una meraviglia. È la sfida dell'uomo contro gli avversari, contro se stesso, contro il limite. È la magia. È il sogno, però questo è amaro. Perché è mangiato da un sospetto che è comprensibile e ingiusto. Froome è pulito fino a prova contraria, questo successo oggi è figlio della sua fatica e della sua forza, ma è drammaticamente umano che a ciascuno di noi vengano i dubbi.

È questo che fa il doping: ammazza l'ingenuo desiderio degli appassionati di sport di avere un idolo da venerare. Perché se ce l'hai e poi scopri che s'è dopato, la delusione è doppia rispetto alla gioia che ti ha procurato quella vittoria. Questo ciclista che si alza sulla sella, spinge, spinge, spinge fino a contrarre tutti i muscoli del suo corpo è un'immagine che meriterebbe sì non essere sporcata dal nostro cinismo. Però succede. Accade perché sarà un caso, ma da quando non è più dopato, Contador perde minuti su minuti.

Accade perché nello stesso giorno in cui lo sport osserva la scalata di Froome a una delle montagne che hanno fatto la storia del ciclismo si scopre che l'uomo più veloce dell'anno a piedi è pieno di steroidi: Tyson Gay, il centometrista americano che negli ultimi tempi ha sempre battuto Usain Bolt è stato trovato positivo a un test anti-doping. Non potrà partecipare ai mondiali di atletica di Mosca. Come lui, a quanto pare, anche cinque giamaicani.

È lo sport che si guarda nel suo specchio deformante: ti mostra vittorie meravigliose che potrebbero diventare atroci delusioni per il pubblico. E lo fa alla velocità della luce: nei nove secondi e settantaquattro centesimi in cui quest'anno Tyson Gay ha corso i cento metri c'è l'essenza della sfida. Subito dopo c'è o la gloria o l'infamia. Non esiste altra possibilità. Però in questi opposti che sono come il bianco e il nero c'è il grigio della nostra perplessità.

Per la storia un atleta è vincitore divino se pulito, perdente imbroglione se è fatto di qualcosa. Le statistiche e le classifiche hanno la fortuna di non avere coscienza. E non avendo coscienza non possono avere dubbi. Noi sì. È dannatamente ingiusto: la cultura della malafede s'è impossessata delle nostre anime per eccesso di delusione. È una immensa sconfitta, nel giorno di una grande vittoria.

 

Chris Froome Alberto Contador Lance Armstrong TysonGay