DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
Antonio Riello per Arsnow - http://www.arsnow-magazine.it/frieze-stupisce-ancora/
Frieze Art Fair London. Certamente molta e bella arte contemporanea, le gallerie presenti rappresentano senza dubbio il parterre internazionale delle arti visive. Molto disegno e molta pittura, forse meno fotografia del solito. Anche tanto glamour e mondanità: la gente che gira in fiera, con il suo dress-code vario e complesso, è infatti anche molto intrigante, uno spettacolo nello spettacolo. Potremmo dire in sintesi che è una situazione senz’altro molto global e divertente, una specie di playground per artisti e art-addicted insomma.
Ma, come è successo anche nell’edizione del 2013, quello che merita una particolare attenzione è Frieze Master. Cioè la sezione staccata della fiera dedicata al “Moderno” e all’“Antico”. Apparentemente luogo rivolto al passato e ad un collezionismo più legato alla tradizione che non alla sperimentazione, in realtà sembra centrare, molto meglio di Frieze Art Fair i temi più rilevanti ed attuali della ricerca artistica.
Chi ha visto l’ultima Biennale di Venezia (sapientemente organizzata da Massimiliano Gioni) o l’ultima Documenta di Kassel (2012) ha infatti ben chiaro che le questioni antropologiche e storiche sono oggi il centro vivo, vero e cruciale della riflessione artistica. A Frieze Master se ne sente il profumo e se ne intravede il colore. Insomma il passato sembra illuminare il futuro meglio della ricerca disperata della “trovata” a tutti i costi (per quanto di talento).
Una cosa comunque brilla luminosa tra le altre, un allestimento fatto dalla galleria HELLY NAHMAD di Londra. Un grande spazio è stato allestito come la casa di un immaginario e sofisticato collezionista francese degli anni ‘60. Tutto è assolutamente perfetto nei minimi particolari sia visivi che sonori.
Alle pareti dei bei quadri di artisti dell’epoca (veri e in vendita a caro prezzo, business is business, e comunque si va da Picasso a Dubuffet, da Fontana a Burri, da Mirò a Twombly e così via). Non è l’opera di un artista ma bensì l’invenzione di un mercante per vendere la propria merce (seppure con il supporto critico e filologico di un grande critico come Norman Rosenthal).
Un piccolo “capolavoro” (in pratica involontario e anonimo, potremmo aggiungere) intorno al quale si indugia a lungo, senza voglia di andarsene, e con il piacere di scoprire continuamente cose nuove, memorie, meraviglie, suggestioni e impressioni. Quello che in fondo ci piacerebbe potesse essere sempre una opera d’arte. Se questo è il mercato”, che ben venga!
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