DAGOREPORT - SI SALVINI CHI PUO'! ASSEDIATO DAL PARTITO IN RIVOLTA, PRESO A SBERLE DA GIORGIA…
silvio berlusconi e adriano galliani del monza
Il Corriere della Sera intervista Adriano Galliani, amministratore delegato del Monza di Berlusconi. Commenta la situazione della Serie A alla luce del calciomercato estivo. Rivendica la sua competenza in materia.
«Ho svolto il mio primo mercato nel novembre del 1975: ero da poco dirigente del Monza e all’epoca esisteva una finestra di trattative a novembre che durava una settimana. Il primo colpo fu Ariedo Braida. Da allora, fatta eccezione per le due sessioni nel 2017 (l’anno della cessione del Milan a Yonghong Li, ndr), ho sempre condotto trattative».
Quello che si è appena concluso, dice, è stato un mercato molto diverso dagli altri, a causa del Covid. Le fonti di guadagno per un club sono gli introiti da stadio, che per la pandemia si sono azzerati, gli sponsor, che hanno ridotto gli investimenti e i diritti tv.
«Il mercato è figlio dei ricavi che sono cambiati da nazione a nazione in base agli introiti da diritti tv. Negli anni Sessanta, quando la voce dei diritti tv non pesava sui bilanci dei club, e la maggior parte dei ricavi erano dal ticketing i grandi club avevano fatturati simili. Eusebio iniziava e terminava la carriera nel Benfica, così Cruijff nell’Ajax e Rivera nel Milan. Con la vendita dei diritti televisivi si è aperta la forbice tra i club di Paesi diversi. La Premier, per dire, fattura tre volte e mezzo il campionato italiano. Ecco perché lì vanno i giocatori migliori».
Sull’addio di Donnarumma, Lukaku e Ronaldo:
«Mica si può dare la colpa ai dirigenti di Milan, Inter e Juventus. Nel 1990 quando terminò il primo contratto che Marco Van Basten aveva firmato con il Milan e il suo maestro Crujff lo chiamò a Barcellona ebbi la forza di proporgli un tale rinnovo da farlo restare. Ora che il Barcellona fattura quattro volte il Milan non sarei più in grado».
Insomma, ora è tutto diverso.
«Le forze in campo sono molto differenti. All’epoca le proprietà non erano asiatiche o degli Emirati: le società erano di ricchi signori delle città di riferimento. La verità è che prima il campionato italiano era di arrivo, ora solo di passaggio. Pazienza, si gioca con altri calciatori. Bisogna rassegnarsi alla fuga dei top nei campionati o nei club che hanno dimensioni economiche differenti. Del resto bisogna considerare un altro aspetto fondamentale nella questione dei diritti: si vendono nei Paesi dove si parla la stessa lingua del campionato di riferimento».
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