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TARDELLI D’ITALIA: L’URLO DI CUI MI SONO PENTITO È QUELLO LANCIATO CONTRO GIANNI BRERA. MI DIEDE PER MORTO, LO INCONTRAI IN UN BAR E LO INSULTAI: “QUI DENTRO C' È PUZZA DI MERDA”” – E POI PARLA DI DYBALA (“PUO’ DIVENTARE IL NUOVO MESSI”), DI VENTURA (“CRITICHE INGENEROSE”), DEL "GRANDE SATANA" RAIOLA E DI MOANA POZZI

marco tardellimarco tardelli

Antonello Piroso per la Verità

 

 

Ieri ho digitato «Tardelli urlo» nel box di Google.

Sono uscite 91.000 voci. Marco Tardelli, la corsa e l' urlo alla finale dei Mondiali di Spagna 1982. Che sembra infinito ma dura appena 7 secondi, in una sequenza di 175 fotogrammi che, entrata di diritto nella storia della tv, ha catapultato il suo artefice nella leggenda del calcio.

 

Com' è vivere sapendo di essere, volente o nolente, un mito?

«Io non ci penso di certo tutti i giorni. È l' affetto della gente, che ancora oggi mi ferma per parlarmene, che mi riporta lì. E ho capito che quel gol, quella serata, è stata davvero un momento di emozione collettiva, al netto di ogni enfasi retorica che proprio non mi appartiene. In fondo, stavamo contribuendo - ma in quel momento non ce ne potevamo rendere conto - a ridare entusiasmo a un Paese che non a caso poi ha vissuto un decennio di crescita e di benessere.

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Anche per questo con quella corsa, con quell' urlo, alla fine mi ci sono riconciliato. L' ho scritto nel libro Tutto o niente: di sicuro è stata la cosa più bella che ho fatto, dopo i miei figli Sara (con cui quel libro ho scritto) e Nicola».

 

Era una stagione diversa per l' Italia, ma anche per il calcio.

«Non sono affetto da reducismo, e non mi piacciono quelli che hanno come intercalare "ai miei tempi". Ma è un fatto: oggi il pianeta calcio vive in una specie di universo parallelo, dove sono saltati tutti gli schemi».

 

Vogliamo provare a fare un elenco delle storture? Per esempio: troppi soldi, e penso al passaggio di Neymar dal Barcellona al Paris Saint Germain, che solo di clausola rescissoria è costato oltre 200 milioni di euro, alla faccia del fair play finanziario introdotto dalla Uefa.

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«Decisamente. E ci siamo arrivati dopo che l' anno scorso la cessione di Gonzalo Higuain dal Napoli alla Juve per 90 milioni di euro aveva fatto gridare al trasferimento più costoso nella storia della serie A. Poi è arrivato quello di Paul Pogba dalla Juve al Manchester United per 105, e l' abbiamo definito il più oneroso nella storia del calcio tout court. Di questo passo, non so dove arriveremo».

 

A questo impazzimento contribuisce il peso sempre più incisivo dei procuratori?

«Per citare il più famoso tra loro, Mino Raiola, io l' ho definito ironicamente "il grande Satana" perché ne sa una più del diavolo. Ma il punto è proprio questo: fa benissimo il suo lavoro, e i giocatori non possono certo lamentarsi. Non esiste più l' attaccamento alla maglia, la fedeltà alla squadra, esiste solo il contratto con le sue clausole, i diritti d' immagine, le sponsorizzazioni. E guarda che se una volta era Raiola a cercare le società, adesso avviene il contrario».

 

Il mercato del pallone mi ricorda un po' quello televisivo: gli agenti, come i procuratori, traggono profitto dallo spazio che lasciano loro i dirigenti tv. Se arretri, è chiaro che il tuo interlocutore avanza. È il principio dei vasi comunicanti.

«Bravo, bella immagine: vasi comunicanti. Alla lettera. E qui mi fermo, non voglio aggiungere altro perché credo che se uno vuole intendere, ha inteso».

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Intanto le squadre italiane sono inzeppate di stranieri, e poi ci lamentiamo della Nazionale di Gian Piero Ventura che arranca.

«Critiche anche ingenerose. Ha fatto quel che doveva, come poteva. Ci ha portati ai playoff per andare ai Mondiali, e allora? Cosa si pretendeva: che i Mondiali li vincesse anzitempo battendo la Spagna, una delle squadre più forti del mondo?».

 

L' impressione è che manchi il leader carismatico capace di trascinare i compagni.

«Vero. Ma questo non vale solo per la Nazionale. E comunque il nostro spogliatoio era diverso perché erano appunti diversi i tempi. C' era per esempio il rispetto per gli anziani, ciascuno di noi era consapevole di quali fossero le gerarchie e anche di doverle rispettare. Sapevamo che quando parlavano Enzo Bearzot e Dino Zoff dovevamo solo stare zitti ed ascoltare».

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Pensano più ai capelli, ai tatuaggi, a essere presenti sui social.

«Non li demonizzo, anche perché io stesso mi ero concesso le libertà conformi allo spirito del tempo. Solo che poi arrivai alla Juventus, e Giampiero Boniperti mi fulminò: "Adesso vai a cambiarti, ti vesti a modo, ti tagli i capelli, ti togli braccialetto e collanina, e torni da me"».

 

Lo stile Juve.

«Che in molti hanno confuso con l' emulazione di Gianni Agnelli, l' Avvocato. Io di mio ho sempre risposto che non avevo imparato lo stile a Torino, perché l' educazione me l' avevano insegnata a casa mia, i miei genitori con il loro esempio».

Alla quarta giornata di campionato c' è la conferma dei bianconeri e del Napoli, ma anche la sorpresa Inter.

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«Fare pronostici oggi sarebbe stupido. Di Luciano Spalletti pensavo potesse fare bene, e l' ho detto fin dalla prima giornata. Sta sistemando i reparti, ha lavorato sulla testa dei giocatori che ora ci credono. Il Napoli gioca sempre un bel calcio.

 

Quanto alla Juve, gli ultimi tre gol di Paulo Dybala erano uno più bello dell' altro. Con il tempo può diventare davvero il nuovo Lionel Messi (anche in Europa dove è più discontinuo), e se Higuain supera il momento no, e il resto della squadra gira come sempre, direi che la Juve può esprimersi come sa fare ormai da sette anni».

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Sei un' opinionista in tv e alla radio, hai una rubrica sulla Stampa, sei stato allenatore di club e nazionali, come calciatore hai vinto il Mondiale, scudetti, coppe Italia, trofei internazionali, su tutti la Coppa dei Campioni. Ma hai confessato: «Vorrei rigiocare una finale di Coppa dei Campioni, perché nel mio cuore, quella Coppa non l' ho mai vinta». La notte dell' Heysel.

«È un evento che non posso e non voglio rimuovere. Gente uscita di casa per venire a vedere noi giocare a pallone, la finale che doveva essere una festa, e finisce in tragedia. Dimenticare non è possibile. Almeno, non per me».

 

Con i giornalisti hai avuto più di un «incidente»: per esempio con Gianni Brera e Franco Ordine, finito davanti a un giudice.

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«Nel corso della carriera mi è capitato di leggere o sentire commenti contrari al vero, e siccome da giovane ero piuttosto fumantino, non le mandavo a dire. Con gli anni ho poi capito che le polemiche fanno parte del gioco, e ho imparato a conviverci».

Va bene, ma esclamare: «Scusate, devo uscire perché qui dentro c' è puzza di me...», e non era la menta, incontrando in un bar Gianni Brera, forse era too much.

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«Decisamente, e me ne sono vergognato. Ma proprio perché riconoscevo la grandezza di Brera non potevo accettare che mi avesse dato per morto per i Mondiali del 1982. Il che non deve suonare come la ricerca di attenuanti alla mia reazione fuori luogo, perché non ce ne sono».

 

Con Ordine però sei andato oltre: davanti al giudice non ti accontentavi delle scuse, che lui ti fece per quello che aveva scritto sul Giornale a proposito dei tuoi rapporti, a suo dire tesi, con l' allora dirigenza dell' Inter, ma pretendevi che ammettesse di essere «uno str...».

«Aveva scritto che io ricattavo l' Inter per la riconferma, facendomi passare per un estorsore, fa' un po' tu. In ogni caso, volevo che il giudice glielo ordinasse. E lui: "Ma che dice? Non posso fare una cosa del genere". "Ma l' ha capito anche lei, signor giudice, che Ordine è uno str...". "Signor Tardelli, non deve nemmeno dirle queste parole davanti a me". "E io invece lo dico, lui l' ha potuto scrivere sul giornale e io non posso dirlo nel chiuso di un' aula?"».

 

Bizzarra, come forma di risarcimento.

«Senza dubbio. A distanza di anni, viene da ridere a ripensarci. E comunque con Ordine ci siamo riappacificati».

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Scusa ma te lo devo proprio chiedere: con i giornalisti le relazioni sono state spesso problematiche. Con le giornaliste, invece... (Tardelli ha avuto Nicola da Stella Pende, e ora è felicemente accasato con Myrta Merlino, ndr).

«Mi stavo giusto domandando quando saremmo arrivati a toccare l' argomento, il tema mancava all' appello insieme all' altro...».

 

Moana Pozzi e il suo 8 in pagella, e non - perdona la grossolanità - per le tue prestazioni in campo...

«Ecco, appunto. Scusa, ma è un' intervista per Novella 2000 o per La Verità? In ogni caso: quando ero giovane non ero uno stinco di santo e ho fatto le mie fesserie come tutti. Nella vita sentimentale ho incontrato donne in gamba ma senza preferire una "categoria" a un' altra, e non ho mai avuto liaison con giornaliste che si occupavano di sport».

Per dirla in modo «non urlato»: con le donne, come nel calcio, ci hai messo del tuo ma sei stato anche fortunato.

«Fortunatissimo, ma per non indispettire gli dei, lo ammetto a bassa voce».

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