DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Giulia Zonca per “la Stampa”
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Gli hooligan croati a Milano, come gli hooligan serbi calati a Genova, non erano interessati alla partita. Soprattutto non erano interessati a vincerla perché Italia-Croazia è sempre stata un pretesto: avevano una rivolta da mettere in scena e hanno scelto l’Italia come palco ideale.
Noi abbiamo riempito lo stadio di bambini, abbiamo giustamente festeggiato il tifo azzurro e i 60 mila biglietti venduti, ci siamo emozionati a vedere San Siro pieno e loro si sono preparati a rovinare la festa. Con grande anticipo e una discreta perizia. Da settimane si agitano perché la federazione croata ha cercato di dividere il tifo organizzato.
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Nelle intenzioni ci sarebbe la volontà di controllare le curve e diminuire la violenza, nei fatti ogni presidente potente ha provato ad aggiungere regole per sistemare conti e arginare contestazioni con varie derive, come quella di Zdravko Mamic, capo della Dinamo Zagabria, con qualche problema di calcio scommesse in casa e sostenitore del bando contro chi sfoggia maglie offensive.
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Guarda caso la più gettonata è quella con la sua testa dentro un segnale di divieto. Ma oltre i motivi delle paturnie di casa loro c’è la peggio gente che non vuole perdere il diritto a spaccare tutto. Non digeriscono i nuovi controlli e si sono mossi contro la nazionale. Per riuscirci hanno probabilmente preso accordi con gli ultrà nostrani.
Zoran Cvrk, responsabile della sicurezza del calcio croato, ha spiegato la possibile dinamica: «Almeno 300 tifosi non hanno chiesto il biglietto a noi ma a qualche collega italiano. Volevano funestare la trasferta, hanno iniziato in città e continuato sugli spalti. Sperano di metterci paura». Il questore di Milano Luigi Savina concorda: «Impossibile perquisirli tutti e poi vista la dinamica è probabile che ci sia stato un gemellaggio tra croati e italiani per nascondere certa attrezzatura».
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Ora che la trama è chiara resta da capire perché il set preferito di certi delinquenti sia sempre casa nostra. Se lo chiede il presidente del Coni Giovanni Malagò che esprime solidarietà nei confronti delle forze dell’ordine ma lamenta la costante superficialità del mondo del pallone: «I tifosi sono i loro ma l’organizzazione è la nostra, chi doveva gestire l’evento deve prendersi delle responsabilità. Certe situazioni si vedono sempre nel calcio». E dopo aver tagliato i fondo sfrangia pure un altro pezzo di credibilità allo sport più popolare.
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Pure l’ex ct Lippi è perplesso: «Ma chi li ha fatti entrare con quell’arsenale? Possibile che davanti a certe immagini non ci sia la volontà di cambiare il sistema?». Conte passa alla minaccia: «Non so come è andata, di certo chi ha agito da teppista non deve pensare di poterlo fare ancora». La polizia ha arginato la sommossa, ha arrestato 17 persone che ora non potranno più frequentare gli stadi italiani e saranno processati in patria però purtroppo la marmaglia ormai crede che da noi sia più facile causare danni. Ed evitare le conseguenze.
Italia-Croazia in realtà doveva fermarsi prima dei fumogeni, nel momento in cui gli estremisti hanno esposto l’enorme U stilizzata, simbolo degli ustascia, il movimento fascista. Hanno pure cantato «Ajmo ustase», l’inno del gruppo che non potrebbe circolare perché incita il razzismo.
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In attesa dell’indagine Uefa, prevista a giorni, si scopre che c’è anche un Ivan il terribile declinato in croato: si chiamerebbe Mirad e stava a braccia alzate alla guida del caos. Un piano mirato e pensato, anche se il verbo non è compatibile con certi soggetti. Un piano impossibile da spiegare ai ragazzini spaventati che sono scappati dal delirio. Non c’entravamo nulla però ci hanno scelto. E saperlo fa paura.
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