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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Andrea Scanzi per il “Fatto Quotidiano”
C' è l' urlo di Munch. C' è quello di Roger Waters in Careful With That Axe, Eugene. E poi c' è quello di Marco Tardelli.
"Il mio urlo è durato 7 secondi (…) Quei 175 fotogrammi mi hanno regalato un posto nella storia nel calcio". Sono parole del diretto interessato, raccolte dalla figlia giornalista Sara per un' autobiografia - Tutto o niente (Mondadori Strade Blu) - che esce oggi e si lascia leggere tutta d' un fiato. Otto capitoli: Urlare, Sognare, Crescere, Imparare, Correre, Vincere, Cambiare, Ricominciare.
Centosessantasette pagine in prima persona, con intermezzi - rari - della figlia che aiutano a inquadrare la dimensione umana di un campione vero: "Da dove cominciare? Forse dall' imbarazzo di mettere d' accordo tre 'mogli'. Una volta ci siamo ritrovati a bordo piscina per passare qualche giorno insieme, con mia madre, Stella e Laura. Lui mi ha lanciato con lo sguardo una disperata richiesta d' aiuto, e io, prendendolo in giro, gli ho detto.
'Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala'". Quell' urlo al Bernabeu, per Tardelli, è stato gioia e dolore: "Una scossa elettrica che ha cancellato la mia vita". Il libro, non a caso, comincia proprio da quel momento. "Da allora, per molto tempo sono stato ostaggio di quell' urlo (..) La mia carriera, i miei sacrifici e la mia storia sono spariti dentro quell' urlo".
Poi, dopo qualche anno, la riconciliazione: "Oggi posso dire che quell' urlo è stato la cosa più bella che ho fatto, dopo i miei figli Sara e Nicola". Carattere non facile, Tardelli. Toscanaccio di Capanne di Careggine, il comune meno popolato della provincia di Lucca, sul versante orientale delle Alpi Apuane.
Tardelli si mette a nudo con moderazione, trovando il coraggio di raccontare fatti privati (spesso dolorosi) e ammettendo di avere a volte trascurato momenti irripetibili, in nome del mantra "la squadra viene prima di tutto".
Dal libro si scoprono molte cose, non di rado inattese: per esempio il calciatore che più lo ha messo in difficoltà. Non Pelé, incrociato quando O Rei era ormai al crepuscolo (ma pur sempre Pelé). Non Platini, affrontato ad Argentina '78 prima di averlo come compagno alla Juve. No: la sua kryptonite era Nicola Ripa ("Mi ha castigato in Serie C, quando giocava nella Sambenedettese, e in Serie A, con il Foggia").
Tardelli sapeva creare e sapeva marcare. A volte pure troppo. Rischiò di azzoppare per sempre Rivera, dopo appena nove secondi di partita. A inizio carriera prese così tanto alla lettera l' imperativo dell' allenatore - "Non perderlo mai di vista" - da seguire Zigoni persino quando l' avversario si avvicinò alla panchina per dare la collanina al massaggiatore. E Zigoni, incline alla battuta fulminante come tutti i pazzi genialoidi, chiosò così: "Questa non mi era mai capitata, mi segue anche in panchina".
Notevoli i tanti aneddoti: le sfide di "figaggine" nello spogliatoio bianconero tra Oscar Damiani ("vestiva all' ultimo grido e arrivava sempre con in mano Vogue") e il permalosissimo Franco Causio; gli scazzi con Mario Sconcerti e Gianni Brera; la liaison con Moana Pozzi, che imbarazzò un po' tutti tranne suo figlio Nicola. "Da ragazzino si avvicinava a mia madre e le diceva: 'Nonna, hai visto tuo figlio con la pornostar…', e mia madre: 'Stai zitto, schifoso'. E lui a insistere: 'Io sono contento, me ne vanto', e lei lo inseguiva con la scopa".
Si sorride ("Va' a vestirti adeguatamente, tagliati i capelli, togli collanina e braccialetto e torna da me": così lo incenerì Boniperti quando si presentò alla Juve). Si soffre (la scomparsa del secondo figlio Benjamin, la perdita di Scirea appresa da Sandro Ciotti alla Domenica Sportiva, la notte maledetta dell' Heysel).
Si rivivono, stavolta da dentro gli spogliatoi, le attese; le sconfitte (poche, nel suo caso); le vittorie (tantissime, nel suo caso). Un bel libro, in punta di penna e - anche se asserirlo pare un ossimoro, visto il protagonista - per nulla urlato.
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