DAGOREPORT - 'STO DOCUMENTO, LO VOI O NON LO VOI? GROSSA INCAZZATURA A PALAZZO CHIGI VERSO IL…
Maurizio De Giovanni per “il Corriere della Sera”
Allora Dries gliela dà, a un metro al limite dell’area, spalle alla porta, alla difesa e al mondo. Non è un assist, intendiamoci: è piuttosto un tentativo di dai e vai, di quei triangoli stretti che se riescono, bene, se no si deve tornare indietro e riprendere il tikitaka, cercando un nuovo varco.
Ed è pure una palla mezza sbagliata, né per la testa né per il piede, tra petto e collo: lui la stoppa così, col petto e il collo, e la palla si allontana un po’. A quel punto noi eravamo storditi dalla soddisfazione e dalla fine dell’incubo. La partita era chiusa e si era chiusa bene, dopo un tempo di paura perché qui la palla non entrava in nessun modo, mentre a Milano i giallorossi vincevano e vincevano bene, contro le previsioni e con merito.
Poi era entrata anche qui, e si era pure concretizzata la Storia coi due gol di lui: gol normali, aggiramento e assist secondo schemi consolidati, avendo un centravanti principesco. La Storia però, accompagnata dall’urlo della gente che era la sua gente, e nel mondo dalla voce di un entusiasta Compagnoni, non si condivide.
La Storia o è Storia o non lo è. Quindi a risultato acquisito, e a campionato finito, si giocava per quel gol che se arrivava era meraviglioso e se no era meraviglioso lo stesso, e provateci voi a fare di meglio.
Chiunque a quel punto avrebbe raggiunto il pallone sbagliato di Dries e l’avrebbe appoggiato indietro, in attesa degli eventi. Sotto la pioggia fitta e il cielo nero, mentre sugli spalti e nei salotti si facevano conteggi sulle fasce dei sorteggi e nomi di immaginari acquisti e previsioni di fantomatici rigori che avrebbero potuto forse, hai visto mai, ne ha fatti due potrebbe pure farne tre, lui pensa di non essere chiunque ma appunto lui.
Perché vedete, questo qui è un centravanti di emozioni. Per carità, tecnica sopraffina e forza eccezionale: ma emozione, soprattutto. Istinto. Quello che se viene storto il rigore te lo fa pure sbagliare, come l’anno scorso con la Lazio e con la sua Nazionale, a sporcare un’altra grande stagione. Ma se viene diritta, l’emozione fa quello che chiunque non fa.
E allora è di spalle, il pallone è lungo e stoppato così così, dietro di lui e addosso a lui sono in tre che se prova a voltarsi gliela tolgono a morsi, e la porta non la vede, e piove forte e il cielo è nero. Ma la porta lui non l’ha mai dovuta vedere. Lui la porta la sente, centimetro per centimetro pali inclusi.
La porta è un brivido sulla sua schiena, un prurito perfettamente delineato, un tatuaggio disegnato a colori. La porta lui la percepisce. È là che nasce il gol bambino. Il gol assurdo, quello che nessuno troverà nei manuali. Il gol bugiardo e innocente, quello del ragazzino che torna a casa e dice sai, mamma, ho segnato il gol della vittoria sul campetto, ho fatto una rovesciata da fuori area, scusami se il fondoschiena dei pantaloni è sporco e la camicia strappata.
Il gol bambino è tanto bello da sembrare finto, tanto strano da sembrare inventato, tanto grande da sembrare solo raccontato. Lui, il centravanti dell’istinto, il centravanti emotivo, decide così, in un lampo nella notte di pioggia, che il tatuaggio della porta nel cervello è più che sufficiente a fare da radar, e si avvita nell’aria e imprime alla palla sbagliata di Dries l’assurda forza e l’assurda direzione, e 60 mila cuori presenti e alcuni milioni in diretta a bocca spalancata ne seguono l’assurda parabola.
Questa non è più solo Storia, amici miei. È la leggenda del gol bambino, e della corsa a braccia spalancate nella notte del Fenomeno, che per una strana imitazione dell’aurora boreale da nera e piovosa diventa azzurra. Che più azzurra è impossibile. E lo sarà per sempre.
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