DAGOREPORT - INTASCATO IL TRIONFO SALA, SUL TAVOLO DI MELONI RIMANEVA L’ALTRA PATATA BOLLENTE: IL…
Simone Golia per corriere.it - Estratti
«Buongiorno, buongiorno!». Guido Meda entra al bar come se fosse l’inizio di una telecronaca. È arrivato in ritardo, ha dovuto aggiustare il cambio della Guzzi V7 prestatagli da un amico: «Ci ho messo un po’, stavo avvitando le viti nel verso sbagliato…».
Proprio lei, il telecronista per eccellenza della MotoGp?
«Che poi all’inizio neanche volevo farlo», sorride con in mano l'immancabile sigaretta elettronica gusto vaniglia.
Ma come?
«Sognavo di diventare cardiochirurgo o chirurgo ortopedico. Però in passato scoraggiavano. "Medicina? Non ti iscrivere, è una fabbrica di disoccupati!". E poi subito gli esami di matematica, fisica, analisi. Quelli, cavolo, mi spaventavano davvero. Avrei dovuto copiare per passarli».
(…)
Perché?
«Iniziai Giurisprudenza, ma non ce la facevo, era più forte di me. Dicevo "no, che roba lugubre…". Feci una decina di esami, poi mollai».
Meglio il giornalismo?
«Avevo da sempre questo interesse. Forse c'era del talento, forse ho incontrato chi ha saputo credere in me. Forse, banalmente, ho avuto un po’ di culo. Erano gli anni '80, le occasioni ti piombavano addosso. L'Ansa e Il Giornale di Montanelli, poi Mediaset, un'avventura incredibile durata 27 anni. Sono uscito da lì solo per Sky. E prima per il militare».
(...)
Suo padre avrà sorriso.
«Ha fatto il partigiano, andava a mettere la sabbia nei freni dei convogli tedeschi. A 87 anni gli venne diagnosticato un cancro brutto all’esofago. "Mi operi alla svelta che ho degli impegni", disse al medico. Si è fatto sventrare con la stessa facilità con cui ci si toglie un brufolo. Oggi di anni ne ha 95 e sta benone».
Come finisce a parlare di moto?
«Nel 2001 Valentino Rossi vince il primo titolo in 500. Mediaset ci vide lungo, capì che la gente si sarebbe innamorata di lui e prese i diritti togliendoli alla Rai. La scelta più azzeccata di quel decennio. Il telecronista designato, Nico Cereghini, si tirò indietro e fece il mio nome. Sapeva che ero uno di quelli che a 8 anni sognava di averne 14 per il primo motorino, poi 16 per il 125 e 18 per il bombardone».
Però su uno di quei «bombardoni» per poco non ci moriva.
«Era il 2003, stavo andando in redazione. Viale Forlanini, una signora con una Toyota fa inversione. Si ferma, penso "Mi ha visto" e do gas. Ma una volta vicino, lei riparte. Per evitarla prendo lo spartitraffico con il guard rail, i cartelli, il marciapiede altissimo. La moto si spacca in due, una metà finisce in fiamme, l’altra su un taxi. Io nel mezzo, sdraiato».
Primo pensiero?
«Che avrei dovuto comprare una Harley-Davidson, basta con le sportive».
Ma come? Era tutto rotto...
«Dieci fratture, braccio destro paralizzato e a penzoloni. Per 10 centimetri non ho battuto il collo, altrimenti non sarei qui. Ma non ho mai avuto l’impressione di morire, forse non era arrivata la mia ora».
Cosa ricorda di quei momenti?
«Gli occhi azzurri del dottore del Fatebenefratelli, che mi guarda e mi fa. "Non siamo attrezzati per un politrauma come il suo". Mi mandò da un suo fidato collega del Galeazzi, si chiamava Berlusconi. "Guardi, sicuramente vuole bene ai suoi dipendenti, ma non credo proprio venga a trovarmi" risposi. Comunque l’incidente mi tornò utile».
Ah sì?
«Prima di tutto mi ha reso più forte e più unito alla mia famiglia. E poi entrai in empatia coi piloti, mi sono sentito uno di loro. Mi venivano a trovare, nel paddock se ne parlava. La cicatrice sulla clavicola se non ce l’hai sei uno sfigato».
L’ha usata anche per conquistare sua moglie?
«Lei l'avevo conosciuta 7 anni prima. Ho usato l’ironia, non certo la bellezza. Eravamo al Giro d’Italia, io da inviato, lei con gli sponsor. "Che bell’orologio al polso", mi fa. Avevo un Daytona Paul Newman, feci il figo. "Lo vuoi? Te lo presto". Lo tenne per un paio di giorni. L'ultima sera, sotto il diluvio universale, abbasso il finestrino della macchina: "Ti devo svelare una cosa, ma non so come dirtela". E lei, speranzosa: "Dimmi!"; "L’orologio è falso!". È una donna fortissima, oggi abbiamo tre figli di cui siamo molto orgogliosi».
Nel 2018 il naufragio in barca.
«Eravamo ospiti di amici, ci sorprese una tempesta improvvisa. La barca affondò a 500 metri dalla costa del Giglio, ci ritrovammo sulla zattera in acqua con 30 nodi di vento e onde di tre metri. Per fortuna, da terra, un gruppetto di persone vide la scena e diede l’allarme. La capitaneria di porto ci fece soccorrere da una barca che stava lavorando al recupero della Concordia».
Tre sportivi: Pantani.
«Lo intervisto dopo l’incidente causato dal gatto nero a Cava de’ Tirreni. Lo avevano operato alla gamba, malconcissima. Un grave intoppo gli stava frenando la carriera, ma non riusciva a pensare negativo. Parlava di sé come di un’auto dal meccanico. Pensai. "Mazza questo che iena, non appena l’osso si rinsalda torna come prima". Così fu».
Tomba.
«Siamo coetanei, ne ho seguito tutta l’epopea. Il talento superava enormemente la preparazione. Si concentrava solo a pochi minuti dalla gara, prima cazzeggiava allegramente. Scavava una buca nella neve, ci metteva gli scarponi e copriva tutto perché la plastica, raffreddandosi, si stringeva intorno al piede, rendendolo più sensibile. Una volta mi invitò anche al suo compleanno».
Dove?
«In una piccola baita sull’appennino bolognese, saremmo stati una ventina. Arrivai con mia moglie, allora ancora compagna, e nell’ordine trovai Vasco Rossi, Max Biaggi e Biagio Antonacci. Cantarono per noi, Vasco mi guardò. "Hai lo sguardo complicato stasera". Aveva ragione, per lei avevo lasciato la fidanzata con cui ero stato 13 anni. Era un periodo bello incasinato».
Valentino Rossi.
«Una sera eravamo entrambi allo Spaccanoci, programma condotto da Fabio Volo su Italia 1. All'uscita lui e il fidato Uccio si incamminarono verso la loro Bmw. Era novembre, faceva freddo, c’era la nebbia. Io ero arrivato con la Mv Augusta Brutale 750, era appena uscita, me l’aveva prestata un amico. Vale vede il casco, si incuriosisce. "Diobò Meda, che moto hai?"; "Una Brutale"; "Ma veramente? Voglio provarla"».
E lei?
«Ho provato a farlo desistere. "No dai Vale, se ti fai male passiamo un guaio". Mi guarda. "Cosa è, non ti fidi?". Come fai a dire a Valentino che non ti fidi di lui? Eravamo in via Feltre, sfrecciò via. Pensavo a quelli che se lo sarebbero trovato davanti. "Ma chi si crede di essere questo, Valentino Rossi?". Sì ragazzi, è proprio lui».
Altro che divo.
«È rimasto uno di Tavullia, coi piedi per terra senza snobismi. Ricordo un sabato sera, vigilia di un Gran premio del Mugello, primi anni Duemila. Saranno state le 2 di notte, torno con i colleghi dal ristorante e incrocio un amico che mi indica il bosco. "Lì c’è una festa, ci sono anche i piloti". Pensavo si riferisse alle vecchie glorie, vado, mi aprono la porta. Valentino era a capotavola con un bicchiere di rosso. Volevo andarmene, ero imbarazzato, se la gara fosse stata un disastro avrei dovuto ometterlo. Ma il giorno dopo stravinse».
Nel 2015 anche lei si è arrabbiato con Marquez?
«Come tutti quelli che erano lì e hanno sofferto un capitolo brutto. Ma da diversi anni non ne parlo più. Se penso alla gente, al mio ruolo, al fatto che sono un padre di famiglia, dico che trascinarsi dietro i rancori non porta da nessuna parte. Mettiamola così: se c’è una persona legittimata ad avercela con Marquez è Valentino, ma per il resto è meglio andare avanti che restare indietro».
Ma perché Bagnaia mediaticamente raccoglie meno di quanto merita?
«Paga la vedovanza degli italiani per Valentino, ma ha vinto tre Mondiali e solo quest'anno 11 gare, è un fenomeno con qualità umane esemplari. Grazie a lui gli ascolti della MotoGp su Sky sono tornati a crescere. Oggi c'è la caccia al personaggio: e se lo fosse per la sua sobrietà? Guida anche una Ducati, insieme sono un patrimonio per il nostro Paese».
La prima cosa che fa dopo aver commentato la morte di Simoncelli?
«Esco dalla cabina, mi incammino nel paddock. Ricordo un silenzio inquietante, mai sentito prima. Non parlava nessuno, qualcuno era seduto sotto le palme con la testa fra le mani. Daniel Pedrosa, con cui avevo un rapporto normale, si avvicina e mi abbraccia. Piangiamo insieme, ci confortiamo. Poi sono andato al centro medico a salutare Marco».
Come se la immagina la pensione?
«Non a giocare a carte o sul divano davanti alla tv, per carità. Mi vedo su una barca a vela. E poi prenderò il brevetto di volo in aliante».
Un rimpianto?
«Aver condotto per una sola stagione Top Gear Italia, il mio sogno. Ma il programma costava troppo, e non perché sfasciassi io le macchine come qualcuno insinuò».
E il chirurgo?
«Forse meglio che non lo sia diventato, altrimenti avrei sbagliato a mettere le viti. Come con la moto».
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