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Francesco Persili per Dagospia
I nemici della porta accanto. Mourinho e Guardiola. Dopo anni di sfide e polemiche si ritrovano a Manchester. Il portoghese sulla panchina bollente dello United. Il catalano alla guida dei “vicini rumorosi” del City. Sguardi in tralice, odore di zolfo nell’aria. Pep e lo Special One, sempre loro. Il “buono” e “il cattivo”, l’un contro l’altro armati. Come in un racconto di Joseph Conrad, come in un kolossal di Ridley Scott. “Duellanti”. È questo il titolo del libro dell’opinionista principe di Sky e firma storica della Gazzetta dello Sport, Paolo Condò (Baldini&Castoldi) che racconta la sfida infinita tra i due a partire da quei 18 giorni nella primavera del 2011 che cambiarono il calcio.
Il Real di Mourinho e il Barcellona di Guardiola si affrontano quattro volte (campionato, Coppa del Re e due volte in Champions). Una rivalità storica, Armageddon tra due filosofie di calcio. La strategia della tensione del nietzschiano Mou che sfida la rivoluzione dolce dell’esistenzialista Pep. “Io non so se è il potere dell’Unicef”. Dopo la sconfitta al Bernabeu, Mourinho arriva a tirare in ballo anche l’organizzazione umanitaria, il cui logo campeggia sulle maglie del Barcellona, con tanto di protesta-tormentone “Porquè?”.
Eccessi, colpi bassi, elettricità. Il cesarismo carismatico del portoghese contro l’idealismo del catalano sublimato da Messi e dalla mistica del “collettivo” innervato dallo spirito dei fantastici ragazzotti provenienti dal settore giovanile. Una trama avvincente e contorta. Il tipico canone estetico madridista, votato alla ricerca della perfezione stilistica e stravolto dal pragmatismo all’italiana dello Special One, messo alla frusta dal tiki taka catalano fiammeggiante di autonomismo, orgoglio culé e possesso palla. È una corrida di idee e una guerra di nervi.
Pep è in piedi, le mani in tasca, e ogni tanto beve. Mou ha il ciglio pensoso, è seduto, prende appunti. Lontani e diversi. Il portoghese Josè è “il conducator con la follia negli occhi” (copyright Alba Parietti) o, a seconda dei punti di vista, lo “sciamano da sagra” (come certifica lo scrittore spagnolo Javier Marias, grande tifoso dei blancos) che sceglie di apparire non come è ma come è utile che sia alla squadra. Protegge i suoi uomini, si inventa assedi immaginari alla sua fortezza, attira critiche, pianifica polemiche, va sopra le righe, fa rotolare insieme al pallone Sartre e Einstein, letteratura e scienza, (ché “chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio”) e dà il meglio quando sente “il rumore dei nemici”.
Se Mou rilancia il pensiero forte, Guardiola, invece, è quello che secondo l’ex premier premier spagnolo Zapatero, “coltiva l’intelligenza del calcio”, e di uno stile. “Giocare all’ attacco, rispettando regole e avversari”. Ecco, la diversità della “democrazia blaugrana” che all’interno di una polisportiva mette insieme identità locale e vocazione globale, incoraggia il talento e la solidarietà. Més que un club. Il Barça è da sempre la bandiera più scintillante del nazionalismo liberale catalano: pluralismo e valori civici, sport e cittadinanza, come ha detto il presidente martire Josep Sunyol i Garriga, assassinato sulla sierra di Guaderrama all’inizio della Guerra Civile.
Se il Barcellona è molto più di un club, Pep è qualcosa di diverso da un semplice allenatore. A 45 anni, nella sua seconda carriera, Pep ha, come Mou, già vinto tutto. Un filo di barba, frasi che restano scolpite nell’aria, l’aria da filosofo, che non piaceva ad Ibra, Guardiola è uno che – come ricorda il suo amico regista David Trueba nella biografia di Guillem Balagué dedicata al tecnico di Santpedor – conserva nelle sue scarpe costose un cuore con le espadrillas. Un universo di valori e principi, una curiosità sempre in movimento.
Cresciuto al magistero di Carletto Mazzone, il catalano studia, perfeziona, riflette, seduce e rifugge dalla tenzone dialettica. Tranne una volta. Quando in quei 18 giorni arrivò a chiamare Mourinho “el puto jefe”, il capo fottuto della sala stampa. Nei sedici confronti diretti con il portoghese, Pep è avanti 7-3 (più sei pareggi). Ma nella battaglia dialettica ha già mostrato come l’unico che possa metterlo in crisi è lo Special One. Con le sue ossessioni, con le sue certezze. “Prima che arrivassi io, a Manchester i calciatori erano tristi”. Selvaggio e sentimentale.
Come piace a Ibra, che non sopportava Pep, ma che per Mou si butterebbe nel fuoco. Ancora loro. Guardiola e Mourinho. Uno di fronte all’altro, a Manchester, capitale del calcio mondiale, in ogni caso troppo piccola per tutti e due. “Non si tratta di una sfida tra me e lui”, si è affrettato a dire il portoghese. “Mourinho e gli altri grandi allenatori che ho affrontato mi hanno aiutato ad essere un allenatore migliore”, ha fatto sapere Guardiola. Parole, sguardi, eccessi, ossessioni: è tutto pronto per il nuovo capitolo di una rivalità infinita. Pep e lo Special One. Duellanti per sempre.
ENRIQUE MOURINHO E GUARDIOLA AL BARCELLONA
GUARDIOLA
mourinho festeggia in pigiama
IBRA MOURINHO
MOURINHO
MOURINHO IBRAHIMOVIC 2
MENDES CRISTIANO RONALDO MOURINHO
MOURINHO SULLA PANCHINA DELLO UNITED
GUARDIOLA
GUARDIOLA ESORDIO CON IL CITY
DUELLANTI PAOLO CONDO' 1
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