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Guido De Carolis per il “Corriere della Sera”
Nello spogliatoio del Chelsea lo chiamavano «Sarri's son». Nello stesso giorno in cui il club di Roman Abramovich mise sotto contratto il tecnico italiano, Jorginho firmò il suo con i Blues.
Gli altri giocatori non intendevano certo insultarlo chiamandolo così, piuttosto prenderlo a esempio come l'uomo che più di tutti aveva capito il sistema di gioco del tecnico italiano, il «Sarri-ball», prima lodato poi diventato così noioso e odioso per i tifosi inglesi. Nel settembre 2018 Jorginho riuscì a completare 180 passaggi in una partita, un record per la Premier League.
La domanda per tutti però era una sola: a che servono così tanti passaggi se non si riesce a segnare? Per la cronaca quel match, contro il West Ham, finì 0-0.
Quando Sarri andò via, dopo una sola stagione coronata con la vittoria dell'Europa League, in tanti pensavano all'addio di Jorginho come qualcosa di naturale. Nessuno scommetteva sul centrocampista, tutti pensavano venisse emarginato dal nuovo coach Frank Lampard.
Successe l'opposto. I tifosi, che non lo amavano perché testimonial del gioco di Sarri, lo rivalutano, gli riconoscono l'impegno e il grande lavoro a centrocampo, ammirano la capacità di giocare in un modo diverso, non solo con passaggi orizzontali, ma con lanci lunghi. Stamford Bridge da ostile si trasforma nella sua arena, con i fans sulle tribune a cantare il suo nome.
Jorginho ha saputo reinventare se stesso, anche come rigorista, dopo tre penalty pesanti falliti contro Liverpool, Krasnodar in Champions e Arsenal. Tuchel, il tecnico del Chelsea, non ha voluto farne a meno e gli ha affidato le chiavi del centrocampo nella finale di Champions League vinta contro il Manchester City.
La parabola di Jorginho non è quella del figliol prodigo, il centrocampista brasiliano non se n'è mai andato, c'è sempre stato, diventando un inamovibile della Nazionale di Mancini. Senza di lui non si va in campo.
I compagni lo chiamano il professore, lui, timido com' è, ribatte: «Ma professore di cosa?». In campo però Jorginho è un maestro per davvero. In questo mese di certo è stato il brasiliano più amato d'Italia e non solo perché ha scelto la Nazionale azzurra facendo arrabbiate Tite, il c.t. della Seleçao, ma anche per quello che alla squadra di Mancini è riuscito a restituire.
È insostituibile. La mente di sicuro, spesso anche il braccio, gentile ma potente e decisivo. Come nella semifinale contro la Spagna, quando si è caricato il peso del rigore decisivo con cui ha spedito l'Italia in finale, dove poi ha fallito il penalty, un errore indolore alla fine.
jorginho in nazionale prima di euro 2016
L'orchestra azzurra suonava per l'Europa e le suonava agli avversari, seguendo le indicazioni del direttore Jorginho, l'allenatore in campo di Mancini. Oltre a far girare il pallone è stato lui a guidare i movimenti, anche senza palla, della squadra. I compagni lo hanno soprannominato il vigile urbano.
Quasi naturale chiedergli se da grande farà l'allenatore? «Non ci ho pensato però mi sembra troppo stressante», ha risposto con sincerità.
jorginho con la champions vinta
È stato il miglior regista del torneo, ma forse del Continente e ora che l'Italia ha vinto l'Europeo, potrebbe portarsi a casa il prossimo Pallone d'Oro. Jorginho è l'essenzialità del centrocampista, preciso e lucido, eccezionale nei movimenti senza palla.
Saper leggere lo sviluppo dell'azione in anticipo è la qualità che lo fa spiccare. Il suo Europeo è stato sontuoso. Sì, con la Spagna è andato un po' in difficoltà, è stata la partita più difficile, si è riscattato tirando con freddezza e maestria l'ultimo rigore, il più difficile.
«Dopo che hai calciato la palla senti come se ti fossi liberato da un peso. Ho cercato di isolarmi dal mondo e dimenticare tutto quello che stava succedendo intorno a me», ha raccontando, spiegando quei momenti così carichi di apprensione e adrenalina.
La sua è una favola da raccontare ai bambini, soprattutto a chi intende cominciare a giocare a calcio. Cresciuto nel Verona, vivendo in convento, è arrivato sino a Londra, città che ha imparato ad amare con il tempo. E ora, proprio a Londra, casa sua, si è preso qualcosa di impensabile. Vederlo festeggiare felice a Wembley, come ha fatto a Oporto per la finale di Champions, è stato il giusto riconoscimento. Una sorta di oscar per il regista del trionfo, perché questo è stato Jorginho, l'uomo che più di altri ha scritto una storia inaspettata e diversa, un film di successo che si è fatto strada tra i kolossal per scrivere una favola azzurra.
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