DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1 - LA SEMPLICE VERITÀ NEL JAZZ DELLA ROJA SI VINCE COL GIOCO
Paolo Condò per “la Repubblica” - Estratti
L’anno della Spagna vive anche di paradossi. Nelle stagioni del dominio assoluto (2008-2012) le vittorie della nazionale — un Mondiale e due Europei — non coincisero mai con quelle dei club, e sì che all’epoca il Barcellona soprattutto ma anche il Real erano fornitori quasi totali della Roja. È successo quest’anno per la prima volta: Spagna campione d’Europa e Real Madrid campione di Champions, ma con un solo elemento in comune nella formazione di Berlino, Dani Carvajal.
Lo stesso Barcellona può rivendicare un unico pezzo nel meccanismo, per quanto nobile come Lamine Yamal; e dunque l’anima della Spagna di Luis De la Fuente — tecnico federale misconosciuto, e su questo torneremo — è altro dai grandi club, e si configura nei nove giocatori baschi in rosa, sei dei quali erano in campo nei minuti finali di Berlino, dal portiere Unai Simon al risolutore Oyarzabal.
La cifra dei baschi, che in gran parte giocano fra loro in club fortemente radicati sul territorio (Athletic, Real Sociedad), è la grinta, la fierezza, il senso di appartenenza.
rodri spagna campione d'europa
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De la Fuente ha vinto con il gioco, meritandosi un apprezzamento unanime che il salvataggio sulla linea di Dani Olmo nei minuti di recupero ha preservato dai distinguo che sarebbero arrivati in caso di successo inglese, anche ai rigori.
Il destino della scuola spagnola è quello di venire vissuta come arrogante, perché il possesso della palla, lungi dal decidere le partite, segnala comunque un’ambizione tollerata dagli haters soltanto se porta al successo: rovesciando il discorso fa viceversa ridere la sola idea che questo sia il modo etico di vincere, in opposizione ai malvagi che ci provano con il contropiede. La verità è che giocando un buon calcio hai maggiori possibilità di fare risultato, e se a ispirarti è una scuola consolidata nel tempo puoi allestire una manovra divertente ed efficace anche nei tempi ristretti delle nazionali.
yamal nico williams spagna campione d'europa
De la Fuente lavora in federazione dal 2013, ha conosciuto da ragazzini metà dei suoi campioni di oggi, con loro è rimasto nel solco della tradizione instaurata da Cruyff, aggiornata da Van Gaal e Rijkaard, reinventata da Guardiola ed emendata da Luis Enrique in una direzione improduttiva che è stato giusto interrompere. Nella finale con gli inglesi ha avuto il 65 per cento di possesso palla distillandone 11 conclusioni, quasi tutte pericolose, il che ridimensiona i molti discorsi sul presunto cambio di pelle della Roja emersi per qualche cifra insolita dopo la prima gara con la Croazia.
La Spagna ha cambiato pelle rispetto alla sua immagine dell’altro secolo, quando il soprannome di “Furie Rosse” fotografava un calcio ardente e molto atletico, ma sostanzialmente acefalo.
Da vent’anni invece la Spagna fa jazz, fraseggio freddo ed elegante con il controllo del pallone come stella polare: l’unica furia rimasta è il pressing appena persa la sfera, a evitare il contropiede facile degli avversari. È una scuola più dominante che mai: l’ultima Premier è stata vinta da Guardiola davanti ad Arteta, mentre Unai Emery è arrivato quarto.
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2 - LO STILE, IL MARCHIO E IL GIOCO TOTALE IL DOMINIO DEI MAESTRI DI SPAGNA
Carlos Passerini,Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera” - Estratti
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È esagerato dire che l’Inghilterra ha inventato il calcio, il Brasile lo ha reso uno spettacolo e la Spagna nel nuovo millennio lo ha reinventato? Probabilmente no: non solo per il record di Europei vinti (4 in 5 finale); non solo perché nessuno aveva mai vinto quattro finali consecutive tra Mondiali e Europei.
Ma per il modo, lo stile, il marchio che questa Roja ha impresso al suo dominio: el juego , il gioco davanti a tutto, il pallone coccolato come i figli dei giocatori nella notte di Berlino coccolano i peluche della mascotte dell’Europeo, rispettato, messo sempre al centro di tutto anche dall’ultimo dei terzini.
Per un’Italia che contro la Spagna e la Svizzera non ha messo in fila tre passaggi di fila è una grande lezione. Ma ovviamente non solo per gli azzurri, anche per tutti gli altri, come la Francia, l’altra grande, che dal 1998 ha fatto 6 finali e vinto due Mondiali e un Europeo: ha un bacino di giocatori più ampio e vario dal punto di vista tecnico e atletico di quello spagnolo, ma il suo gioco non rimarrà nella memoria fra trent’anni. E sono bastati due figli di genitori africani della nuova Spagna come Yamal e Williams per mettere all’angolo i Bleus, che sul calcio multietnico hanno costruito molto dei loro successi. Adesso, come ha detto Rodri che è l’anima di questa Selecciòn «manca solo un Pallone d’oro spagnolo».
luis de la fuente mikel oyarzabal
L’unico maschile (perché Alexia Putellas lo ha vinto ed è campionessa del mondo) resta quello di Luis Suarez nel 1964. Una locura , una follia, che si spiega solo con il dominio di Leo Messi. Ma ora che Leo spende le ultime magie e le ultime lacrime lontano dall’Europeo, proprio Rodri faro anche del City di Guardiola è il candidato che mette d’accordo tutti.
Come questa Spagna dei nuovi maestri: «Possiamo ancora migliorare — assicura il c.t. Luis De la Fuente — . Nico e Yamal sono due giocatori e due ragazzi meravigliosi, che devono continuare a crescere e farlo con calma. Noi ce li godiamo in Spagna, ci daranno ancora tante soddisfazioni».
(...) La Spagna poi è vicecampione d’Europa Under 21 (battuta in quel caso dagli inglesi) e ha un ricambio continuo. Nuove stelle arriveranno, con la classe dei maestri e lo spirito degli studenti. Adesso che hanno imparato a rivincere, chissà cosa combineranno.
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