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Lorenzo Longhi per Avvenire
All' improvviso, tutti divennero sciatori. O intenditori di sci e, se proprio non così esperti, capaci di distinguere uno slalom gigante da uno slalom speciale, o quantomeno di sapere che non sono la stessa cosa.
Se c' è un incontestabile lascito nella vita sportiva di Alberto Tomba, nel giorno in cui taglia un traguardo particolarmente significativo come quello dei 50 anni, va ricercato esattamente nello spirito dei tempi di allora: era l' occaso degli anni '80 e ciò che ne nacque fu un decennio nel quale, dall' Alpe a Sicilia, dovunque era Castel de' Britti.
Perché Tomba, Albertone, semplicemente era lo sci e l' Italia, in un paradigma di identificazione sport-atleta-paese che ha avuto pochi eguali e portò la disciplina a scrollarsi di dosso durante l' intero percorso di Tomba sulle piste del mondo quell' aura di passatempo per opulenti e spocchiosi turisti da settimana bianca. L' idea che un ragazzone naif, nato non in Alto Adige ma nella collinare frazione di un comune della cintura bolognese, potesse essere l' immagine patinata dello sci a livello mondiale non poteva che fare bene. Era un invito a credere che quasi nulla fosse impossibile.
Ha tenuto tutti incollati al televisore, ai suoi piedi si sono inchinate trasmissioni cult che si interrompevano per consentire le dirette delle sue seconde manche, capitava che persino nelle scuole il tempo si bloccasse per pochi minuti - tanto bastava - quando la gara contava davvero. Calgary o Lillehammer, Albertville - nomen omen - o Sier- ra Nevada, Sestriere o Adelboden che fosse: c' era Tomba, fenomeno tra i paletti e personaggio di uno star system che si è alimentato della sua fama e della sua guasconeria.
Oggi, a cinquant' anni, Alberto Tomba sembra ancora quello di allora. La leggerezza giovanile e la propensione a fidarsi delle persone - lui che non era cresciuto nei bassifondi di periferie disagiate - lo hanno proiettato in un vortice di celebrità più grande di lui, che in più volte ci ha messo del suo, in modo spesso imbarazzante, quando avrebbe potuto farne a meno.
Si è salvato, è grazie al talento, immenso e istintivo, ad una famiglia d' origine forte e con i piedi per terra, ma anche grazie ad una certa dose di autoironia. Necessaria, questa, pure per ricordare con affetto il film di cui fu protagonista a carriera terminata: Alex l' Ariete si intitolava e portò nelle sale appena 285 paganti.
Nella storia resta altro. Una Coppa del Mondo assoluta, otto tra speciale e gigante, tre ori e due argenti olimpici, due ori e due bronzi iridati, 88 podi di cui 50 sul primo gradino in Coppa del Mondo. Poi una galleria di fuoriclasse rivali battuti, da Zurbriggen a Aamodt, da Accola a Girardelli, da Jagge a Reiter. Significa avere lasciato una traccia tecnica che gli almanacchi ricorderanno anche quando l' eco di ciò che è stato tutt' attorno si sarà sopita.
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