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Daniele Sparisci per corriere.it
Le dune di sabbia, le tende, l’attesa invasione della marea arancione. Il Gp d’Olanda, al rientro nel calendario dopo 35 anni (Lauda ha vinto l’ultima edizione del 1985), insieme all’inedito Vietnam, è la novità più grossa della prossima stagione di Formula 1. Il ritorno di Zandvoort vale doppio, per sentimenti e contenuti tecnici.
Oltre ad essere il cortile di casa per Max Verstappen, il circuito sul mare del Nord ripropone un genere estinto in F1: le curve paraboliche. Di fascino sicuro. C’erano nel vecchio anello di Monza e nell’antico Fuji, poi sono sparite dopo il disastro di Indianapolis 2005, quando al via scattarono solo in sei perché le monoposto con gomme Michelin si erano ritirate per problemi di sicurezza.
Per gli olandesi questo rischio non esiste, per ristrutturare la pista amata da Jim Clark e Jackie Stewart hanno scelto un italiano. Che ha sposato l’idea di realizzare ben due sopraelevate, per favorire i sorpassi su un tracciato molto stretto. La ricetta promette duelli ruota a ruota in pendenza in stile ovale americano, ma solo il 3 maggio sapremo se le curve 3 e 14 avranno funzionato bene.
Per parlare con Jarno Zaffelli bisogna trovare un buco fra un volo e un altro («Sono fuori casa per più di 180 giorni l’anno»). Reggiano con i motori nel sangue e nel nome — è un omaggio a Saarinen, il finlandese che ha cambiato il modo di guidare le moto —, è partito dal nulla. La voglia di disegnare circuiti gli è venuta su due ruote, girando con gli amici a Misano («Ma perché non ne creiamo uno a Reggio Emilia? Sarebbe pieno…»), ce l’ha fatta con un diploma da perito industriale dopo aver abbandonato gli studi in ingegneria.
Autodidatta, instancabile, si mantiene facendo di tutto, «anche il fotografo», mentre gira il mondo per visitare autodromi e «capire come possono essere migliorati». S’intrufola alle conferenze delle archistar delle corse, tipo Hermann Tilke, il n.1 tedesco di cui Zaffelli oggi è concorrente. «All’inizio mi prendevano per un marziano, poi hanno capito che non scherzavo».
Fonda la Dromo, s’inventa software per calcolare i rischi d’incidente setacciando filmati di competizioni, anche su YouTube. Sta per mollare quando una piccola consulenza gli fa cambiare idea. La determinazione paga, il suo curriculum ora è un’enciclopedia: firma Termas de Rio Hondo, tappa argentina della MotoGp. Cura il restyling di Sepang, gli inglesi lo chiamano per rifare l’asfalto trappola di Silverstone dopo la prova cancellata del Motomondiale 2018 per pioggia, interviene anche a Imola e al Mugello. Di Zandvoort, «la Suzuka d’Europa», conosce ogni granello di sabbia, il cantiere è allo sprint finale: il 7 marzo c’è il primo evento, una gara di Gt.
Raccontando delle paraboliche s’illumina: «L’inclinazione è superiore ai 18 gradi, quando le F1 sono abituate al massimo a 5. Sarà il circuito del Mondiale più esigente per telaio e gomme, lo dicono le simulazioni. Ma non ci saranno problemi, abbiamo studiato ogni dettaglio con la Pirelli: le macchine e le gomme moderne non sono quelle di Indy».
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