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Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
Cosa manca alla Juventus - ottava a dieci punti dal Napoli dopo nove giornate e con mezzo piede fuori dalla Champions - per decretare il fallimento dell'Allegri-bis? La sconfitta con il Milan, anche se ha aggiunto elementi nuovi alla galleria degli errori bianconera, è un deja vu . Non fosse altro per il fatto che l'ultimo scontro diretto contro Inter e Milan (ma anche Atalanta), vinto da Madama è datato 6 gennaio 2021 e porta la firma di Pirlo (e Chiesa) proprio in casa dei rossoneri.
Sembrava l'inizio di qualcosa, invece era solo l'avvio di un declino che nemmeno il ritorno da salvatore della patria dell'allenatore dei cinque scudetti di fila e delle due finali di Champions ha saputo frenare. Anzi. Considerati il ricambio del parco tecnico a disposizione e il conseguente aumento delle aspettative, gli ultimi 14 mesi di Allegri sono stati un flop.
Il peccato originale è in quel caffè bevuto in Versilia assieme al presidente Agnelli ad aprile 2021 davanti al derby pareggiato a fatica da Pirlo: Allegri, cacciato due anni prima per far posto a Sarri, da fuori credeva che la rosa della Juve fosse più forte di quello che in realtà era («La sistemiamo» il suo mantra) e Agnelli per iniziare la ricostruzione ha dato al tecnico poteri troppo ampi, come certificato dal suo contratto quadriennale da 7 milioni netti più bonus.
Messo alla porta Paratici, che assieme a Nedved aveva spinto per l'allontamento di Allegri, il presidente si è trovato con un direttore sportivo come Cherubini, bravo ma non certo in posizione di forza rispetto a Max nelle scelte. E con un a.d. come Arrivabene, abile nel condurre la maggior parte delle operazioni in entrata e in uscita, ma senza la competenza calcistica, per sua stessa ammissione, per valutarle tecnicamente.
Così la Juve è una squadra «imbalsamata» che ripete gli stessi errori da più di un anno. Se nella scorsa stagione Allegri scontava ancora i vizi di fabbrica degli anni precedenti, con un gruppo costruito male dopo il ciclo epico dei nove scudetti (il famoso «centrocampo storto»), quest' anno ci sta mettendo ancora più del suo - nel nome di un calcio pratico che a volte sembra rudimentale e basta - per non far crescere una squadra che dopo Locatelli ha incupito anche Vlahovic, pagato 80 milioni a gennaio per evitare il rischio di non finire tra le prime quattro.
Uno spettro che si ripropone in vista del centenario della proprietà Agnelli, con l'allenatore che pare non apprezzare il materiale a disposizione: le uscite mediatiche, che hanno portato un sostenitore come Capello a definirlo «battutista», sono all'altezza di certe prestazioni sconcertanti. Pareggiare in casa della Samp (uno dei due punti ottenuti in trasferta) e dire «che nel calcio esistono le categorie», ritrovarsi il 10 settembre a ripetere «che la stagione inizia a gennaio» quando torneranno Pogba e Chiesa, trasmette sfiducia alla squadra e anche un certo fatalismo: se si inizia a fare sul serio solo quando arrivano quelli forti, perché dovremmo dannarci l'anima?
Sul campo, la Juve va all'indietro, quando va bene è propositiva mezzora poi si ferma, disabituata a tenere ritmi alti e con l'aria di chi non sa che fare. Alcune voragini, come quella del dopo Chiellini (e del declino di Bonucci) e quelle dei terzini, sono state ignorate. Ma martedì torna Di Maria e a Haifa si può pensare di vincere. A rischio ci sono i 30 milioni della Champions e salvarli contro Benfica e Psg sarà più dura. Anche perché il primo che sembra non crederci fino in fondo è Allegri.
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