KIEFER BIG BANG: “SIAMO TUTTI IMPASTATI DI PARTICELLE CHE SONO ALL’ORIGINE DELL’UNIVERSO. IO SO CHE LE MIE ORIGINI RISALGONO A PRIMA DEL NOSTRO PIANETA” - IL GRANDE ARTISTA ALL’INCROCIO TRA SCIENZA E FILOSOFIA

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Gian Luca Favetto per “la Repubblica

 

kiefer, beuys, kounellis, cucchi, amman, basilea 1985kiefer, beuys, kounellis, cucchi, amman, basilea 1985

Quel signore con gli occhi chiari che lanciano sguardi rapidi e incalzanti, il viso piccolo, disteso. Alto e dinoccolato, maglia giacca pantaloni neri, nero anche il cappotto di cashmere abbandonato sul pavimento, neri i sandali aperti in pieno inverno, con una fettuccia blu di lato, nere le calze rotte sul tallone.

 

Quell’uomo in fondo al corridoio, catturato davanti ai suoi quadri, gli ultimi di un percorso espositivo intitolato Infinito, è in realtà una biblioteca di libri e di visioni. Visioni che nascono da libri e che poi lui mette su tela: le ricostruisce come quadri, come presenze, come installazioni. Le architetta come opere. D’arte.

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Anselm Kiefer, classe 1945, l’autore dei Deutschlands Geisteshelden (Germania eroica), dei Sette palazzi celesti, delle Età del mondo, uno dei più importanti artisti contemporanei, con personali alla Biennale di Venezia e al MoMA di New York, al Grand Palais di Parigi e alla Royal Academy di Londra, a Berlino e a Tokyo, ad Amsterdam e a Città del Messico, è a Torino per ricevere la laurea honoris causa in filosofia: “Per avere prodotto un percorso speculativo per immagini di esiti straordinariamente fecondi, in grado di confrontarsi con la tragedia del Novecento e con il mondo contemporaneo”, detta la motivazione. Dopo la cerimonia all’Università, si è rifugiato nella Galleria d’arte moderna, dal suo amico, il direttore Danilo Eccher.

sophie fiennes anselm kiefersophie fiennes anselm kiefer

 

Qui si è ritrovato faccia a faccia con due sue opere, Einschüsse e Humbaba , fatte di piombo, rovi, colori acrilici e a olio, foglie d’oro, fotografia, cenere, gommalacca. Sono esplosioni fra montagne innevate e frammenti della mitologia sumera di Gilgamesh. Sono materia che urla e canta, mappe che resistono al tempo.

 

Da un quarto d’ora almeno ha in tasca la mia domanda, buttata lì tanto per iniziare la conversazione: qual è la sua storia? La storia di una celebrità dell’arte contemporanea, come e dove comincia? Prima di rispondere, si fa tutto l’Infinito. Ci vogliono una ventina di minuti. Arrivato al fondo, in piedi davanti ai suoi quadri, dice: «Si cerca sempre di scoprire il modo in cui il Cosmo è nato».

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Suona come un sottotitolo adatto a entrambi i lavori. Poi attacca: «La mia storia è molto lunga e viene da lontano. Io non sono nato nel 1945, ma molto prima. Ho dentro di me dei protoni che risalgono all’inizio del Cosmo. Siamo tutti impastati di particelle che sono all’origine dell’Universo. Siamo molto più vecchi della Terra. Io so che le mie origini risalgono a prima ancora che nascesse il nostro pianeta. L’ho compreso pienamente, per la prima volta, solo qualche mese fa».

 

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Parla con un’energia da fanciullo che, esplorando, ha toccato la meraviglia, e ha quell’espressione da “ho visto cose e conosciuto mondi che voi umani nemmeno potete immaginare”... E non sono le navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione o i raggi B che balenano vicino alle porte di Tannhäuser, no. Lui ha visto il Cern di Ginevra, il più grande laboratorio di fisica delle particelle.

 

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«Quando mi hanno invitato stavano riparando l’acceleratore di particelle. Quindi sono potuto scendere nel suo ventre e contemplare il sincrociclotrone aperto, questo enorme meccanismo dove si scontrano le particelle accelerate alla velocità della luce. Mi hanno mostrato il lavoro che si fa per vedere l’infinitamente piccolo.

 

E poi ho assistito a un dibattito dove hanno illustrato una teoria che permette di risalire fino a un miliardesimo di secondo dopo il Big Bang. Ma l’attimo prima? Niente: dell’attimo prima non si sa nulla. Anzi, più si scopre, meno si sa. Ci vuole l’arte per dirlo. Serve la mitologia delle immagini per raccontare l’inizio del mondo, per svelare ciò che è accaduto prima».

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Sorride: «Gli scienziati lavorano in gruppo per trovare una formula matematica, gli artisti vanno da soli alla ricerca di un’immagine. Ma quando fisici e matematici scoprono qualcosa di nuovo, dicono: che bello! Adoperano lo stesso aggettivo, hanno la medesima sensazione estetica degli artisti».

 

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Ha sempre scelto i luoghi dove lavorare: una filanda e un vecchio deposito sono diventati i suoi studi. «Il mio lavoro è la continuazione del lavoro che si svolgeva fra quelle pareti», dice. I posti in cui vivere, invece, li hanno scelti le sue compagne. «Ho sempre seguito le donne. Andavo dove volevano loro, dai miei primi spostamenti in Germania, poi in Toscana, ora in Francia».

 

Tedesco di Donaueschingen, nel Baden-Württemberg, da più di vent’anni ha casa e studio a Parigi e nel Sud della Francia. «Da bambino disegnavo tutto ciò che vedevo — ricorda —. Ero il primo di tre fratelli, nato in una cantina dell’ospedale, sotto un bombardamento. Appena venuto al mondo, per sfuggire alle bombe, ho trascorso il mio primo giorno nella foresta. Era il nostro rifugio. A cinque anni avevo già deciso di diventare pittore. Credevo di essere un genio. Quando mi sono diplomato, mi sono iscritto a Legge, tanto ero già un genio, no? Non avevo bisogno di imparare la tecnica. Il linguaggio artificiale del diritto mi piaceva: è il contrario della vita. Lo sentivo esotico, attraente.

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Dice che la realtà non esiste. Per tre anni ho studiato diritto, leggevo Montesquieu e la sera dipingevo. Poi ho capito che, se volevo diventare un vero pittore, dovevo andare a una scuola di Beaux Arts. Non ero soddisfatto delle mie ricerche, facevo ritratti e paesaggi che non erano male, ma non funzionavano. Erano assolutamente vuoti». Si trasferisce a Friburgo e a Karlsruhe. Ed è stato un po’ come uscire di prigione per scoprire la libertà dell’arte.

Lia Rumma Anselm Kiefer Lia Rumma Anselm Kiefer

 

È il 1967 e comincia la sua carriera, segnata dall’incontro con Joseph Beuys, lo sciamano dell’arte, con la sua magia e il suo pensiero sull’armonia fra essere umano e natura. «Io credo che le donne generino il mondo, gli uomini sono impulsivi e vanitosi. Le donne sono coloro che accendono la vita, sono più legate alla natura, sono più streghe. I maschi devono sempre provare di essere forti. E però alla base della Rivoluzione francese, ad esempio, c’erano le donne. E così, dietro tutti i miti dell’antichità, ci sono le donne, c’è la loro forza creatrice». Dopo la creazione, viene la storia. «Ma la storia oggettiva non esiste. Le persone la ricostruiscono secondo i propri bisogni e punti di vista.

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La storia è argilla che si plasma con le mani. Il mio lavoro è continuare i miti: loro esistono e io li continuo. Ciascuno dà forma alla sua storia e ha la sua interpretazione ». È per questo che, ogni mattina, nella sua biblioteca lunga sessanta metri, lui cerca un libro. È come se andasse a spasso nella foresta. Controlla i dorsi, ne prende uno, lo sfoglia, legge. «Quasi sempre scopro che, il libro scelto, è proprio quello che mi serve per il lavoro che sto facendo».

 

Ogni giorno il suo lavoro riparte da un libro. Ogni giorno da un libro Anselm Kiefer ricomincia a dare forma al mondo. Al suo mondo. Dandogli forma, gli dà senso. «A questo serve l’arte. Non potrei vivere senza. Mi fa trovare un senso nella vita». Il senso che non c’è nella Storia, ma solo nelle storie che racconti. Lo creiamo noi, dice. Non un senso definitivo, ma quello necessario per vivere. Quello per cui il Cosmo, nei racconti e nei respiri, si fa mondo, territorio, abitazione, casa, io.