RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Giulia Zonca per "la Stampa" - Estratti
L'uomo che ha inventato le Olimpiadi e le ha portate per primo a Parigi non è invitato. Pierre de Coubertin sarà in qualche modo evocato nella cerimonia di apertura, una forma di cortesia al movimento più che a lui. In ogni caso, c'è la sua firma: l'idea dei Cinque cerchi è sua e stanno appesi in ogni dove, ma il barone è più che altro un'ombra nella città che vuole splendere. Non va nascosto per non rinnegare il lascito, ma neanche mostrato per non rovinare la festa.
È il padre dei Giochi, non di questi. La sua creatura si è parecchio allontanata dalle idee di cui era tanto convinto e l'edizione che si inaugura oggi segna il punto più distante dal nome del fondatore.
Nel 2024 si raggiunge la parità, almeno nei numeri, nei posti a disposizione degli atleti: la metà è per le donne. Cento anni fa, l'ultima volta in cui i Giochi hanno visto Parigi, De Coubertin era stato costretto ad ammetterle: a parte, in discipline da esibizione e contro la sua volontà.
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Proprio il signore che ha stabilito il legame tra lo sport e l'eredità che dovrebbe lasciare, tra il risultato del singolo e il significato che una medaglia può avere per una nazione, è poi sparito con il passare degli anni. Colpa di una visione che ha condizionato l'evoluzione delle competizione al femminile.
La sua faccia non sta da nessuna parte, mentre quella di Alice Milliat è ovunque. Lei, a differenza del barone, non ha un nome famoso ma tutta la visibilità possibile. Sta in una mostra alla biblioteca Mitterand, dietro l'Arena di Bercy che si prepara al pienone per le ginnaste, sta sopra i cartelloni di «Lo stadio è nostro», il racconto di come le ragazze si sono prese la scena da cui erano state escluse.
Sta davanti alla piscina della Défense, costruita sopra uno stadio da rugby. Lì fuori c'è Milliat che voga e la semplice scritta «Grazie». Lei, all'inizio degli Anni Venti di un secolo fa, bussa alla porta di De Coubertin, in un altro mondo, in un'era superata. Chiede spazio e lui dice no, replica che sarebbe «uno spettacolo indecente» e che se anche concedesse «una tale stranezza» sarebbe inutile: «Nessuno verrebbe a vedervi, l'eroe olimpico è il maschio adulto».
Fine delle discussioni. Lei se ne frega. Mette in piedi prima la federazione dello sport femminile e nel 1922, due anni prima del ritorno dei Giochi a Parigi, dopo quelli ancora minimalisti del 1900, taglia il nastro dei Giochi femminili. Formato essenziale, gare di atletica a sfidare pure la scienza dell'epoca che pretendeva di spiegare come correre mettesse a rischio la possibilità, leggi obbligo, di diventare madri.
Le ragazze di Milliat corrono e saltano, sono 77 e si contendono il successo davanti a 22 mila persone. Soprattutto sono molto determinate, si fanno notare, scatenano discussioni. Il barone insiste, «non è sano», però cede.
Gli suggeriscono di farlo: meglio controllare il numero, le apparizioni piuttosto che lasciare alle scatenate pioniere la libertà di prendersi l'indipendenza. I Giochi femminili restano in edizione unica, un'antenata di questa Parigi fiera di recuperare il legame.
Al momento dell'assegnazione olimpica, nel 2017, la conquista è stata riagganciata a De Coubertin, pareva normale riavvolgere il nastro, nel posto in cui tutto era iniziato. Al Cio avrebbe fatto piacere, è abituato a celebrare il primo presidente omettendo i difetti. Le pronipoti di De Coubertin, che sono a Parigi in questi giorni, hanno spesso ripetuto che non si può giudicare una persona vissuta allora con i parametri di oggi.
Vero, ma la difesa dell'antenato non regge ai commenti brutali, al fastidio per qualsiasi idea di coinvolgimento. Era un secolo fa, mancavano tanti strumenti e se siamo condizionati dal retaggio culturale oggi è proprio perché allora c'era un unico pensiero dominante, ma se De Coubertin avesse lasciato almeno un dubbio sul tavolo oggi sarebbero tutti felici di raccoglierlo. Invece «controverso» è la definizione più carina che si riesce ad avere. Da lì si passa a «colonialista e filonazista».
All'inizio dell'anno è stata inaugurata la statua di cera del padre fondatore. In totale discrezione. Il solo a citarlo nei discorsi ufficiali è Thomas Bach, attuale presidente del Cio. Non lo vuole proprio fare la ministra dello sport Oudéa Castéra e nemmeno la sindaca di Parigi Hidalgo.
Zero. È appena uscita una biografia che toglie a De Coubertin pure la paternità dei Giochi:...
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