DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonio Riello per Dagospia
Il futuro odora di pericolosa e selvatica barbarie. La naftalina dei vecchi armadi ha invece il ricordo olfattivo della civiltà. Stiamo diventando tutti antiquari.
The Times ri-porta all'attenzione dei media la carriera di Derek Boshier (oggi ha 85 anni). Si tratta di un ragazzotto britannico di modeste origini originario del Dorset che a sedici anni aveva - apparentemente - il suo destino già segnato: sarebbe dovuto diventare macellaio, ovviamente non senza un lungo apprendistato. Ma nella sua scuola un giovanissimo insegnante, David Hockney, ne intuisce il talento e insiste perchè frequenti il Royal College of Art a Londra. I due sono ancora grandi amici.
Nella leggendaria Londra dei "Swinging Sixties" Boshier si ambienta fin troppo bene. La commistione musica-grafica-moda lo ispira e lo assorbe. Frequenta assiduamente i Beatles. Dipinge e inizia a disegnare copertine di dischi.
Tra i suoi committenti i Clash e i Pretty Things. Ma è il suo lungo sodalizio con David Bowie che fa la vera differenza. Per lui nel 1978 realizzerà la copertina dell'album "Lodger". Espone i suoi quadri (con concreto successo) nelle città che contano: Londra, Parigi, New York. Dopo un po', nel 1980, decise di trasferirsi nel Texas dove rimase per tredici anni insegnando e dipingendo. Poi va in California a Griffith Park, Los Angeles, dove vive tuttora e continua imperterrito la sua produzione artistica: sforna ancora un grande quadro ogni mese.
Dipinge come se gli anni '60 non fossero mai passati...i suoi quadri sono, in un certo senso, dei fossili. Ha un passato di livello ma la sua fama, soprattutto in Europa, sembrò ad un certo punto evaporare in un flebile ricordo. Fino ad oggi è un po' come se non ci fosse mai stato: nel Web è stato a lungo poco più che un fantasma, citato solo per la sua contiguità con i big della musica Pop. Oggi ri-trovato.
La domanda spontanea è: come mai negli ultimi tempi così tanti/e artisti/e dimenticati/e ri-tornano alla luce e accarezzano le avide (ed interessatissime) pupille del mercato dell'Arte. Potremmo, rimanendo sul suolo patrio, nominare la celebrata ri-scoperta di Domenico Gnoli alla Fondazione Prada, o il recupero, assai più discusso, di Julius Evola come pittore al Mart di Rovereto o l'affascinante ri-esumazione, tutta la femminile, realizzata da Cecilia Alemani nel Padiglione Internazionale della Biennale di Venezia attualmente in corso.
Di fatto in continuazione ri-spuntano artisti e nomi degli anni '40, '50 e '60. Il processo accade su scala mondiale ed è assolutamente trasversale. Si scava, il curatore è diventato una specie di archeologo. Si fruga in cantina e in solaio, il direttore del Museo assomiglia ad un esperto di antiquariato. Il Passato è il "solido futuro" dell'Arte e ora la parola chiave si chiama "nostalgia". Il mito dell'Età dell'Oro è in perenne agguato tra gli umani: tra vintage e culto dell'altro-ieri si saldano vecchi debiti (culturali e morali).
Per molti il futuro odora di selvatica barbarie mentre la naftalina e la polvere dei vecchi armadi suggeriscono un profumo di civiltà. Si ragiona di "coni d'ombra", di "ingiusti boicottaggi", di "scandaloso oblio", di "tesori dimenticati" e di "nuovi punti di vista". Il gusti sono in sistematico mutamento ed è fisiologico che dal passato ri-emergano carriere, ma non è che tutta 'sta polvere alla lunga possa procurare estese allergie (culturali)?
I prossimi mesi risuonano di banale maleducazione e di ineluttabile perdita di stile. Gli anni a venire pare sappiano evocare solo oscure minacce: forse anche l'Apocalisse (almeno quella estetica...). Le diagnosi sono abbastanza catastrofiche. Dagli abissi della cultura popolare - ormai quasi solo digitale - ci si aspetta vengano a galla solo superficiali volgarità. Come quando, dopo una inondazione, dai tombini risalgono maleodoranti e sporchevoli liquidi fognari.
O magari è solo l'influenza dell'Austerity che ci avvolge tutti. In questo contesto fatto di prudentissima modestia sembra molto più naturale ri-ciclare, ri-scoprire e ri-generare. In altre parole è più sostenibile (e ovviamente anche consolatorio) guardarsi indietro anzichè correre in avanti. Parafrasando i contadini Toscani: "La Storia dell'Arte è come il maiale, non si butta mai via niente".
fondazione prada domenico gnoli
Contemporaneamente si cerca luce anche in una "Nuova Frontiera" etnica, coinvolgendo realtà geografiche e culturali tenute da parte ingiustamente e forse troppo a lungo. Questa strategia a volte funziona. A volte decisamente meno. L'dea che comunque ci si fa è che la creatività espressa dagli artisti occidentali (che non hanno la sfortuna/fortuna di appartenere ad alcune delle minoranze privilegiate ora sotto osservazione) sia incapace - e probabilmente anche indegna - di dare forma visiva al nostro immediato futuro. Il divino dono simil-profetico a lungo associato alle Arti in Europa (almeno a partire dal Rinascimento) sembra dunque essere al momento miseramente svanito. Come quando un super eroe perde all'improvviso i suoi poteri.
Alla faccia delle cosiddette Avanguardie Storiche e dei rituali della Modernità, anche da noi le varie forme della Tradizione e della Storia sembra stiano diventando l'obiettivo finale del Sistema dell'Arte (come del resto è sempre accaduto nell'ambito delle Civiltà Orientali).
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