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Cloe Piccoli per “la Repubblica”
Arriva alla Fondazione Prada “To the Son of Man Who Ate the Scroll” la mostra di Goshka Macuga (fino al 19 giugno) che entra in argomento citando la Bibbia nei versi del poeta Ezechiele. Il figlio dell’uomo che ha mangiato il rotolo di lamentazioni per portare la profezia alla casa d’Israele (così viene indicato nei versi 2,1 - 3,9) evoca temi eterni e imprescindibili: come origine e fine, destino, memoria e conoscenza.
È su questi concetti che ruota l’intera mostra dell’artista polacca, classe 1967, che negli ultimi anni ha collezionato personali e commissioni nei contesti più blasonati del sistema dell’arte dalla Zacheta Gallery di Varsavia, all’M-CA di Chicago, fino all’ultima Documenta di Kassel e alla prossima personale al New Museum di NY.
Nello spazio trasparente e luminoso del Podium distillato da Rem Koolhaas, che sta ultimando la torre di questa fondazione incastonata nella zona sud di Milano fra archeologie industriali, centrali elettriche del Novecento e nuovi edifici residenziali, Goshka Macuga ha installato una cosmogonia di stelle e pianeti.
Per farlo ha scelto opere simboliche, epocali, e apocalittiche di artisti di diverse provenienze e generazioni: Phyllida Barlow, Robert Breer, James Lee Byars, Ettore Colla, Lucio Fontana, Alberto Giacometti, Eliseo Mattiacci, a cui affianca un oggetto di design d’acciaio specchiante dell’inglese Thomas Heatherwick. Qui, seduto nello spazio, un giovane uomo con barba e impermeabile.
Arrivando, lo si vede di spalle, e sembra vero. Avvicinandosi si scopre che è un androide, perfetto, umano, molto umano. Declama passaggi di filosofia da Platone ai giorni nostri, e si interroga sul destino dell’umanità e sul senso della vita: dal gesto eroico di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini alla desolazione decadente dei protagonisti di Blade Runner.
L’androide di ultima generazione, il man made man, prodotto dai laboratori giapponesi A Lab apre un discorso affascinante su memoria, sistemi di archiviazione, conservazione, passaggi di conoscenza, dalle tecniche della retorica classica al Rinascimento agli atlanti di Aby Warburg fino alla memoria artificiale e ai più sofisticati strumenti di catalogazione.
Ne esce una dimensione umana, romantica, immaginifica in cui ci si trova nell’eterna impossibilità di archiviare una volta per tutte una materia viva, attiva, costantemente intaccata da eventi, avvenimenti, epoche e punti di vista, personali e collettivi.
Ad approfondire il discorso la grande installazione Before the Beginning and After the End che Goshka Macuga realizza con l’artista Patrick Tresset. Cinque tavoli lunghi più di nove metri con rotoli di carta su cui scorrono disegni e oggetti, tracce di conoscenza e interferenza. Sui tavoli ci sono opere d’arte, riferimenti archeologi e scientifici.
Sull’ultimo i robot della serie “Paul A” che disegnano con penne a sfera per l’intera durata della mostra, come fossero l’ultimo passaggio verso il futuro, o il passato della conoscenza, in questa immagine circolare e ricorrente dell’esistenza.
Passando per l’installazione con 73 teste in bronzo dedicate ad altrettanti pensatori, realizzata per la mostra nella cisterna, si giunge all’interno dell’ala sud dove è esposta parte della Collezione Prada.
Qui l’artista colloca al centro di uno studiolo di legno intarsiato del Rinascimento lombardo, quintessenza della catalogazione del sapere, una scultura di Joep van Lieshout, una seduta da the day after, su cui un’attrice declama, rituale, puntuale, ogni sabato e domenica alle diciassette, fino al 24 aprile, testi in esperanto. Ambizione e fallimento di una cultura universale e condivisa.
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