DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
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A dodici giorni dal voto, il voto per eleggere il nuovo presidente della Federcalcio (29 gennaio) riecco che compare l'ombra del commissario. Non un dato di fatto, piuttosto una suggestione visto che alcuni club di Serie A avrebbero (avrebbero) chiesto al presidente del Coni di intervenire e, appunto, di commissariare la Figc visto che l'urna, fra i tre candidati Sibilia, Gravina e Tommasi, rischia di non dare un verdetto.
La risposta? Eccola. "Commissariare il calcio? Giorno dopo giorno, sia a livello di comunicazione, sia a livello dei vari rappresentanti delle componenti, iniziano a convincersi che quella era solo una cosa di buonsenso e che io ho avuto il coraggio di dire tempo addietro". Lo dice il presidente del Coni, Giovanni Malagò, parlando dell'attuale momento politico del calcio italiano.
In lizza, ci sono tre candidati e una Lega Serie A ancora commissariata: "Non mi stupisce affatto - osserva Malagò a margine della presentazione dell'accordo tra Federazione italiana canoa kayak e il ministero dell'Ambiente - era abbastanza scontato. Chi conosce il mondo del calcio e frequenta le varie componenti sa bene di cosa stiamo parlando. Si sapeva perfettamente che questo era lo stato di fatto e questa la situazione che si sarebbe creata. E puntualmente si sta andando avanti. Lo dico con malinconia e dispiacere".
Si parla di alcuni club di Serie A che con una lettera vorrebbero chiedere a Malagò il commissariamento: "Ho letto i giornali,ma io non do nessun tipo di giudizio - conclude il numero uno dello sport italiano - non esprimo più un'opinione salvo quella che ho esternato nel passato recente sulla Federcalcio. Qualsiasi atto pubblico, ufficiale, formale, politico sportivo, lo giudichiamo quando arriverà. Ammesso che arrivi".
2 - SALE IL DEBITO CRESCITA SLOW L' EUROPA CI BACCHETTA
IL REPORT UEFA FOTOGRAFA UN SISTEMA CONTINENTALE IN SALUTE E INCHIODA IL NOSTRO MOVIMENTO CHE NON SA RINNOVARSI E SPENDE SOLO IN CALCIATORI
Marco Iaria per "la Gazzetta dello Sport"
Il calcio europeo è in discreta salute, nonostante la disparità tra ricchi e poveri e in attesa di valutare l' impatto delle ultime spese pazze. Quello italiano è malaticcio, e il guaio è che i «politicanti» del pallone se ne infischiano, a giudicare dalla difesa delle poltrone e dall' assenza di impulsi innovativi dopo il flop con la Svezia. Bisognerebbe, invece, leggere con cura il Club Licensing Benchmarking Report 2016 dell' Uefa, che fotografa lo stato del calcio nel Vecchio Continente. Come spiega Aleksander Ceferin, presidente Uefa, «non solo i club stanno generando ricavi ma stanno anche investendo in asset e infrastrutture».
Nel 2016 le spese virtuose nelle cosiddette immobilizzazioni materiali hanno superato per la prima volta il miliardo. Il fair play ha sortito i suoi effetti, su larga scala, come dimostra il trend del risultato operativo aggregato dei club europei (al netto di trasferimenti e altro), passato da -382 milioni nel 2011 a +832 nel 2016, con 26 campionati a generare utili contro i 9 del 2011.
SOS ITALIA
Anche la Serie A, in questi anni, si è data una regolata ma resta pur sempre in rosso, a differenza di Bundesliga e Liga. E, soprattutto, lamenta un problema di crescita, che è cruciale in questa fase di portentosa e inarrestabile espansione globale del calcio. Tra il 2009-10 e il 2015-16 siamo cresciuti meno dei nostri concorrenti: in media le squadre di Serie A hanno visto incrementare i propri ricavi di 21 milioni contro i 110 milioni degli inglesi, i 58 dei tedeschi, i 44 degli spagnoli e i 20 dei francesi.
Continuiamo a dipendere troppo dai diritti tv: basti pensare che l' apporto del segmento commerciale sul fatturato della Serie A è al livello più basso (21%) tra le prime 20 leghe europee e, sebbene il settore sia cresciuto del 10% in un anno, vale meno di un terzo degli introiti di Premier e meno della metà di quelli della Bundesliga. Non va meglio al botteghino: c' è solo un club italiano nella graduatoria dei primi 20 per numero di presenze, cioè l' Inter quindicesima con 885.818 spettatori totali in campionato nel 2016-17 (Barcellona in testa con quasi 1 milione e mezzo).
Preoccupa, poi, la tenuta finanziaria dei bilanci perché gli stipendi hanno ripreso a salire (rappresentano il 68% del fatturato, più di Premier 63%, Liga 57% e Bundesliga 50%) e la stessa spirale hanno assunto i debiti, in controtendenza rispetto all' Europa: quelli netti dei club di A hanno raggiunto il 63% dei ricavi, un' incidenza molto più alta non solo delle leghe di riferimento (Premier 31%, Liga 20%, Bundesliga 4%) ma anche della media europea che si attesta sul 35%. Stato precario, confermato dal fatto che il rapporto tra asset e passività (meno di 1,1) è il più basso d' Europa, escluse Turchia e Grecia.
Gli azionisti dei club italiani sono dovuti intervenire più massicciamente che altrove: dal 2010 gli apporti di capitale in Serie A sono stati 1,353 miliardi contro i 497 milioni in Bundesliga e i 540 in Liga (2,625 miliardi in Premier). C' è da dire che nella pancia delle società italiane c' è un tesoretto rappresentato dalle rose: il valore delle immobilizzazioni costituite dai calciatori è 62,6 milioni in media per club in Serie A, sotto la Premier (130,1) ma sopra la Liga (53,1) e la Bundesliga (43,5).
Certo, se i nostri presidenti investissero in progetti a medio-lungo termine sarebbe molto meglio, anche perché questo assalto al mercato non è che abbia migliorato complessivamente la competitività tricolore sulla scena internazionale. Gli stadi? Un optional. Solo la Juve figura tra le top 20 per investimenti in asset immobiliari, in una classifica che vede 8 inglesi, 3 tedesche e 4 spagnole: i bianconeri sono 16° con 203 milioni, Arsenal primo a quota 730.
SQUILIBRI
Il sistema continentale tiene. La crescita su base annua dei club europei è del 10%, nell' arco di 6 stagioni gli introiti commerciali sono schizzati del 59% e quelli dai diritti tv del 64% (+7% al botteghino). Tuttavia il report mette in evidenza l' enorme disparità tra grandi e piccole, non a caso uno dei cavalli di battaglia di Ceferin che di recente ha parlato di luxury tax e salary cap, in nome di un maggiore equilibrio competitivo.
I sei mercati top (Inghilterra, Italia, Spagna, Germania, Francia, Turchia) producono proventi tv 11 volte superiori a quelli degli altri 48 campionati; le 12 squadre maggiormente globalizzate hanno incassato in sei anni 1,58 miliardi in più dal commerciale contro i 700 milioni in più di tutti gli altri club europei di massima divisione.
E non può passare inosservata la recente inflazione delle spese: l' estate 2017 è stata da record sul mercato, con i 5,6 miliardi spesi in trasferimenti, equivalenti al 28% delle entrate annuali dei club, cioè l' incidenza più alta di sempre. In base a un censimento di 2mila operazioni a cavallo tra il 2013 e il 2017, le commissioni per gli agenti si sono aggirate tra il 12 e il 13% e in 32 accordi oltre 1 milione di euro hanno addirittura superato il 100%. Beati Mendes e compagnia.
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