RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Francesco Persili per Dagospia
Il ciclismo contemporaneo vi annoia? Non ne potete più di misuratori di potenza, statistiche e algoritmi? L’antidoto c’è e si chiama Peter Sagan. “La forza di chi vince con semplicità, la potenza di chi taglia il traguardo ridendo”, non c’è sintesi migliore di quella di Ivan Basso per dire del campione slovacco, tre maglie iridate conquistate in tre anni consecutivi, come mai nessuno prima di lui. Impennate e siparietti giocosi con mano morta incorporata. Durante la premiazione del Fiandre 2013 Sagan pizzica con un sorrisetto malizioso il sedere a una miss. Polemiche, critiche, indignazione moralista a profusione.
La vicenda si chiude con il ciclista slovacco costretto a chiedere “umilmente” scusa alla ragazza, che da parte sua non l’aveva presa per niente male. Per raccontare lo showman del pedale non basta sfogliare la sua autobiografia “My World” scritta con John Deering (Mondadori, pp.233).
Ti scappa da tutte le parti, Sagan. “Salvatore del ciclismo, più grande dello sport stesso”, firmato “Sir” Bradley Wiggins. Sfugge a qualsiasi definizione, “Peto”. Non è solo un velocista puro ma anche un finisseur capace di sparate fulminanti negli ultimi chilometri, uno scattista, un fantasista, nel senso più completo del termine. Lo trovi gomiti e ginocchia in fuori a improvvisare il ballo del qua qua dopo la prima vittoria al Tour, e poi con la linguaccia Jagger e Del Piero style sul podio di Bergen nel 2017.
Guascone, non convenzionale, imprevedibile, il ciclista di Zilina è quello che nel 2015 entra in rotta di collisione con Bobby Julich e pensa di mollare (“Era grottesco, quell’allenamento mi stava uccidendo. Era ossessionato dai numeri. Basta, mi dissi, vaffanculo, io lascio…”) prima di iniziare la sua favolosa cavalcata. Campionati del mondo su strada a ripetizione, Giro delle Fiandre 2016 e Parigi-Roubaix 2018 quando per raddrizzare il manubrio prese a colpire la ruota posteriore di Wallays che lo precedeva sul micidiale pavè (“Cazzo fai Peter?”, “Santo cielo, scusa, sono stanco…”, il dialogo ‘stracult’ riportato nel libro). Non è uno di quei forzati della strada votato alla retorica agonica del ciclista tradizionale, "il Valentino Rossi del ciclismo" è istinto e talento, estro e spensieratezza. Si diverte a esibire l'amore per la birra, le sue gambe non depilate e i tattoo (“In Italia mi hanno detto che un solo tatuaggio porta sfortuna”). Un geniaccio ribelle che a Innsbruck non si fa problemi a infrangere il cerimoniale per consegnare la maglia iridata a Valverde neocampione del mondo (“Lo fanno nella boxe perché non lo possiamo fare anche nel ciclismo?”). Sulla vicenda Froome-doping scrive nell’autobiografia: “E’ poco credibile che Chris si sia dopato deliberatamente. Dato che è una sorta di professore distratto, è molto più probabile che si sia trattato di un errore. Resta il fatto che le regole sono state infrante…”. Prende posizione, Sagan: “Amo la Slovacchia. E’ elettrizzante essere cittadino di un paese così giovane e fiero. Anche noi siamo nell’Ue. Non vedo l’ora che uno dei miei amici inglesi mi spieghi chiaramente come gli sia venuta in mente la Brexit…”. L’Europa sì, il Giro d’Italia ancora no. “Ma prima di chiudere la carriera voglio venirci…”
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